Chi è stato almeno una volta nella vita in Baviera, chi ha visto quei cremosi, pastellati colori delle chiese barocche di laggiù, i campanili a bulbo, l’armonia e rotondità della campagna, l’azzurro dei laghi, ritrova tutto questo nel suono avvolgente dell’Orchestra della Radio Bavarese, il più innamorante fra i grandi complessi tedeschi. Berliner e Staatskapelle di Dresda destano ammirazione ma incutono una certa soggezione, nella loro monumentalità. I bavaresi di Jansons, con il loro meraviglioso direttore (ma erano così già ai tempi di Kubelik), innamorano, suscitano affetto. E’ un suono che va diritto dalle orecchie, accarezzate, al cuore, inebriato di bellezza.
Si può aver amato, nella vita, anche altre letture della Leningrado, magari più aspre e più sporche, o più nichiliste (anche se questo non è ancora il Sostakovic radicalmente tale). Si parla spesso del “volto di Stalin” in rapporto a questa sinfonia. Qui c’era più, semmai, il dolore del popolo o degli individui. E ci sta, pur se una lettura “dolorosa” non è il solo modo di eseguirla. Ma al suono della Bayerischer Rundfunks e alla dedizione, alla tenerezza del cuore che Jansons ha, negli anni, sostituito al suo giovanile virtuosismo (di questa Leningrado sono memorabili soprattutto le parti più “intime”) ci si arrende, avvoltolati nella bellezza delle frasi e del suono. Viene il dubbio che perfino il dolore possa esser bello.
Trionfo co due giuste chiamate al direttore anche da solo, ma si doveva richiamar fuori l’intera orchestra, semplicemente meravigliosa!
Avvilente che il Teatro, per riempire la platea e i palchi abbia dovuto
permutare biglietti acquistati per la galleria, portando gli acquirenti dalle gallerie ai palchi e platea medesimi.
Qualche appassionato ha, giustamente, commentato che Pereira avrebbe più opportunamente potuto riempire la platea con gli orchestrali della Filarmonica più il direttore del recente programma Cherubini-Verdi, tutti ben legati alle poltrone, obbligati ad ascoltare un vero concerto! In effetti, sia Budapest-Fischer che Radio Bavarese-Jansons si prestavano perfettamente allo scopo….
Gentilissimo Vizzardelli
anche ieri sera c’è stata l’ennesima conferma della fallimentare politica di definizione dei prezzi (pricing suona più….professionale) dell’attuale gestione scaligera
Il teatro, malgrado i “riempimenti” dei palchi era vuoto (le gallerie erano piuttosto desolanti) e non è stata una gran figura per il grande, magnifico e migliore teatro del mondo
questa mattina, all’apertura della vendita per Mutter i posti più economici erano a 40 euro per cristiano; li ho lasciati lì e molti l’hanno fatto
prevedo voragini nel bilancio, ma nessuno sembra preoccuparsene, a partire dall’attuale cda che si è guardato bene, ieri di nominare …sia mai che ci si debba prendere qualche responsabilità!
Sulla politica dei prezzi ed i bilanci si potrebbe aprire un post a parte, perchè è sotto gli occhi di tutti la desertificazione di massa del Teatro.
Vorrei soffermarmi un attimo su questo concerto perchè non sono, questa volta d’accordo con Vizzardelli. Ovvero lo sono nella constatazione dell’esito eccelso, ma non nel dettaglio sul “come” esso sia stato perseguito.
Personalmente ho trovato l’esecuzione di ieri sera assolutamente rivelatoria da parte di uno Jansons in stato di grazia, così come i suoi complessi bavaresi. Rivelatoria, in quanto la Settima di Shostakovich a mio parere pur essendo contestualizzata nella produzione cosiddetta “di guerra” del compositore russo, ha sempre suscitato negli esecutori e negli interpreti un approccio trionfalistico senza “se” e senza “ma”. Fin dalla remota esecuzione documentata di Toscanini per arrivare all’ultimo Bernstein con Chicago e, per restare nelle mie esperienze “live”, al recentissimo Oue con l’Orchestra Verdi il concetto portante dell’approccio interpretativo è stato condizionato dalla vittoria nella Grande Guerra di Resistenza di cui l’esperienza dell’assedio di Leningrado è emblematica. Così mi è sempre parso molto difficile trovare delle “ombre” a questa vittoria finale, quasi gloriosamente innondata dalla luce della splendida fanfara conclusiva, il che, paradossalmente, mi ha sempre fatto porre questa sinfonia in una posizione “estranea” rispetto a tutto il resto della produzione sinfonica shostakoviana. Perchè, insomma, quando mai Shostakovich è stato nei suoi finali limpidamente trionfale? Forse nel “Canto delle Foreste” in gloria di Stalin. Ma anche nell’autoaffermazione nel finale della Decima,l’incontenibile gioia sconfina in una isteria sfrenata della quale Mravinsky è a tutt’oggi stato il più idiomatico realizzatore.
E qualche eco del suo antico mèntore l’ho trovata anche in questa realizzazione di Jansons. Ferma restando l’assoluta bellezza del suono cremoso degli archi, il peso dato agli interventi dei legni e nelle scure e morbide perorazioni degli ottoni non mi hanno fatto pensare solo ad una interpretazione concentrata sul “suono” in sè. Il peso delle percussioni, ad esempio, veramente implacabile, espressione di una distruttiva macchina di morte che tutto annienta e stritola, vinti e vincitori, di cui la marcia del primo tempo è stata solo una faccia della medaglia. Infatti mai prima di Jansons la chiusa della Sinfonia mi è apparsa tanto negativa pur nel clangore della fanfara finale. “L’ombra di Stalin non si è vista” dice l’amico Vizzardelli. Io dico di sì: si è vista e sentita. Il trionfo di Stalin ha preso il posto di quello di Hitler nell’inesorabilità ed eguaglianza impassibile dell’imperversante “stretta” impressa da Jansons e mirabilmente eseguita dai Bavaresi, che come un arco si univa alla marcia del Primo Tempo.
Esito trionfale della serata con due chiamate a Jansons a palco vuoto. Da diversi anni non assistevo a cose così, alla Scala.
Saluti
-MV
p.s. mi associo all’invito a Pereira di fornire di biglietto di ingresso gratuito con obbligo di presenza ai componenti dell’orchestra filarmonica ed al loro direttore stabile per permettere loro un ascolto di ciò che è un concerto sinfonico.
Mi associo agli elogi rivolti a Jansons e alla sua orchestra, che a mio avviso è oggi al massimo livello mondiale, forse non da sola, ma certamente non superata da alcuna altra delle grandi orchestre europee e americane.
Mi pare che non sia chiaro in quello che è stato scritto il rapporto tra la “Leningrado” e lo sviluppo della seconda guerra mondiale sul fronte russo.
L’attacco di Hitler all’URSS è scattato il 22 giugno 1941 e si è diretto subito contro la città di Leningrado, che ha subito un tragico assedio durato più di tre anni con la morte per fame freddo e cannonate di una spaventosa quantità di vittime civili.
Sostakovic ha scritto la settima sinfonia tra l’agosto e il dicembre dello stesso 1941, per cui certamente non poteva essere pervaso da un incosciente euforia di vittoria.
La cupa marcia dei carri nazisti, che Jansons ha reso in modo mirabile, facendola sentire in pianissimo da lontano e poi sempre più aggressiva e violenta nelle dodici ripetizioni del tema, domina il primo movimento, mentre in quelli centrali si sente la desolazione e il dolore per la sofferenza del popolo russo.
Il finale non è a mio avviso il trionfo di Stalin, ma un canto di speranza nella vittoria finale scritto quando alla fine della guerra mancavano tre anni e mezzo abbondanti.
Sostakovic non era stalinista, ma patriottico sì. A me la perorazione finale ricorda il “Canto di vittoria” con cui Beethoven conclude le musiche di scena dell’Egmont, dopo la decapitazione dell’eroe fiammingo. La differenza è che Beethoven conosceva la conclusione vittoriosa della lotta del popolo delle Fiandre, mentre Sostakovic, alla fine del 1941, poteva solo esprimere la speranza nella vittoria finale.
La varietà di accenti della “Leningrado” è uno degli ingredienti, che ne fanno uno dei capolavori della letteratura sinfonica di tutti i tempi.
P.S. Caro HTTP, ci credo che le gallerie erano vuote, dopo essere andate esaurite anche negli ingressi da 9 euro: tantissimi spettatori sono andati a riempire la platea e soprattutto i palchi pressoché invenduti all’insensato prezzo di 150 euro!
Io sono rimasto in seconda galleria, dove per l’appunto si stava comodissimi (e il suono è notoriamente migliore che in platea e in altri punti del teatro).
Ciao Gabriele, sui finali “vittoriosi” di Shostakovich ci andrei cauto, perchè non è Beethoven o anche Mahler e dietro alle sue apparenze di vittoria si cela sempre qualcosa di inquieto e oscuro. A volte piuttosto chiaramente, come nella Quinta Sinfonia, altre volte meno, come nella Nona. A me ieri è sembrato che Jansons volesse in qualche modo legare il finale di “vittoria” al micidiale crescendo del Primo Tempo con il medesimo utilizzo delle percussioni, veramente implacabile e spietato chiudendo la sinfonia in una nota non propriamente “positiva”. In effetti, come ho cercato di spiegare, è stata la prima volta che ne ho colto una portata negativa, da celebrazione sì, ma di morte, di guerra, non di vittoria. Ciao
cari giovani, concordando sul giudizio positivo senza “se” e “ma”, in relazione alle note polemiche sui posti vuoti, mi sembrano anch’esse parole vuote.
C’è chi ricorda Boulez che dirigeva alla Scala negli anni 90 – se non sbaglio – una magnifica e memorabile Sacre. Ebbene per riempire i loggioni hanno fatto entrare gli alpini quel giorno a Milano per uno dei loro festeggiamenti. Una selva di Penne nere in loggione, memorabile anche questo… Il tutto con platea e palchi semi-vuoti. Ahimè, niente di nuovo sotto il sole..
Sì, Max, è vero che in Sostakovic c’è spesso non ambiguità, ma ambivalenza delle sue espressioni musicali.
C’è chi dice dhe era solo antisralinista magari sottotraccia e chi dice che nella sua musica c’è solo la patria russa comunista e la lotta al nazismo: sbagliano tutti. Basterebbe un ascolto attento della Quinta sinfonia per accorgersene.
Nella Settima mi pare prevalente, come a maggior ragione anche nell’Ottava, accanto alla compassione per le sofferenze del suo popolo un sentimento di speranza, forse anche in parte dovuto al regime, in quanto un finale “disfattista” della Settima lo avrebbe mandato difilato in un gulag o davanti a un plotone di esecuzione.
Anche Jansons ha subito la prepotenza del regime sovietico .molto dopo la fine della guerra (gli fu proibito di accettare un invito di Karajan a collaborare con lui a Salisburgo, cosa che avvenne in epoca successiva), per cui una venatura malinconica nella sua interpretazione del finale non la escludo neanch’io, ma si tratta di una venatura, non di un capovolgimento del senso di quel brano.
E’ capitato spesso che sentimenti diversi si mescolassero nell’ispirazione degli artisti: nel Benvenuto Cellini di Berlioz, trasmesso ieri sera dall’Opera di Roma, alla fine l’entusiasmo per la vittoriosa impresa della fusione del Perseo si unisce a un filo di tristezza, forse per la perdita di tante sue opere, che aveva dovuto gettare nella forma che non conteneva metallo sufficiente.
Ad essere sinceri, a me non è affatto dispiaciuto essere spedito dalla galleria ad un palco centralissimo.
Detto ciò, serata entusiasmante, Jansons in stato di grazia; di questa “Leningrado” mi ha colpito il suono “nostalgico”, quasi delicato e soffuso in alcuni passaggi, mai ridondante – ma pur sempre marziale e sostenuto.
Buona Pasqua a tutti!
Correggo una mia improprietà nel precedente commento (mi è stata fatta giustamente notare da un amico). Il “volto di Stalin”, così come l’ho citato, non appartiene alla Leningrado, anche se poi, quanto a tematiche, siamo nei pressi. Trovo splendido il commento di Vono… ma resto più inebriato dal suono, e dai suoni, dell’orchestra della Radio Bavarese che dall’impostazione data dal pur magnifico Jansons. Trovo la sua attuale “fase” d’interprete da un lato maturatissima rispetto al virtuosismo giovanile dall’altro tendente ad un certo “estetismo” applicato a molto repertorio. Il bel suono è un pregio ma non lo considero un valore assoluto (sul valore di certe “screziature” abbiamo appena avuto lezione dal fantsmagorico Mahler di Fischer. Lo “sporco” in musica può anche essere un valore…).
Sul resto – la Scala e la sua politica dei prezzi… parlanop i vuoti in sala e mi pare che in tanti ci siamo espressi. Sulla qualità dei concerti Gatti-Fischer-Jansons, uno dopo l’altro, rispetto al concerto Chailly malcapitato nel bel mezzo dei tre, idem. Ognuno può trarne acconcia riflessione.
Sulle qualità di jansons e della BRO, non aggiungo altro, se non che tra questa orchestra e la Budapest Festival Orchestra che ho ascoltato a Roma mi pare ci sia un abisso.
Al concerto (la cui qualità tecnica ritengo inarrivabile per qualunque altra orchestra eccetto Berliner e chicago) c’ero ed anche a me non è dispiaciuto accomodarmi in un bel palco centrale di terza fila…..
Riguardo alla politica dei prezzi praticata dalla Scala da tutti posta in relazione con il numero dei posti vuoti, essa c’entra fino ad un certo punto. I prezzi erano più o meno simili a quelli del Musikverein o di Monaco per lo stesso concerto. Lì i teatri erano esauriti.
Diciamo invece che al pubblico di Milano la 7 di Sostakovic, proprio o non interessa oppure non sa nemmeno cosa sia. Del resto le recenti recite del Wozzeck fanno bastano da sole a testimoniare il livello del pubblico……
OFF TOPIC: Ma da quando una stagione viene presentata non alla stampa, non al pubblico ma AL SINDACATO?? Da quando il SINDACATO rappresenta l’interlocutore primario di un teatro? Pereira, vendi i tuoi abbonamenti al SINDACATO! Roba da matti! Basta così
è possibile che ci sia gente che quando legge la parola sindacato posta concettini senza alcun senso e sbrocca?
all’interno di un incontro lavoratori-sovrintendenza Pereira ha deciso di dare alcune informazioni sulla prossima stagione; è nella norma che i sindacati siano informati sulle principali decisioni aziendali (e la programmazione lo è)
se i lavoratori non si interessano all’azienda sono attaccati per scarso interesse, non partecipazione, insomma dei mangia stipendio
se vengono “coinvolti”, con una comunicazione unilaterale, si badi bene, è ugualmente loro colpa
antisindacalismo d’accatto
tutto ciò mi sembra una miserabile polemica ma è evidente che in questa società questi pensierini miserabili sono maggioritari e c’è solo da aver paura a vivere in questo clima.
un caro saluto a tutti
gentilissimo,
per quanto di mia conoscenza il verbale di assemblea è “finito” nella mani di un cronista;
di tutti i punti discussi (e sono molti) che certamente non sono di particolare interesse per il pubblico, è stata ricavata questa notizia vero segreto di pulcinella
quale sarebbe il vantaggio delle organizzazioni sindacali a far trapelare notizie ed a sostituirsi alla sovrintendenza?
un caro saluto a tutti
ps
i sindacati non saranno presenti alla conferenza stampa, quindi cortesemente la invito alla partecipazione
Chi è stato almeno una volta nella vita in Baviera, chi ha visto quei cremosi, pastellati colori delle chiese barocche di laggiù, i campanili a bulbo, l’armonia e rotondità della campagna, l’azzurro dei laghi, ritrova tutto questo nel suono avvolgente dell’Orchestra della Radio Bavarese, il più innamorante fra i grandi complessi tedeschi. Berliner e Staatskapelle di Dresda destano ammirazione ma incutono una certa soggezione, nella loro monumentalità. I bavaresi di Jansons, con il loro meraviglioso direttore (ma erano così già ai tempi di Kubelik), innamorano, suscitano affetto. E’ un suono che va diritto dalle orecchie, accarezzate, al cuore, inebriato di bellezza.
Si può aver amato, nella vita, anche altre letture della Leningrado, magari più aspre e più sporche, o più nichiliste (anche se questo non è ancora il Sostakovic radicalmente tale). Si parla spesso del “volto di Stalin” in rapporto a questa sinfonia. Qui c’era più, semmai, il dolore del popolo o degli individui. E ci sta, pur se una lettura “dolorosa” non è il solo modo di eseguirla. Ma al suono della Bayerischer Rundfunks e alla dedizione, alla tenerezza del cuore che Jansons ha, negli anni, sostituito al suo giovanile virtuosismo (di questa Leningrado sono memorabili soprattutto le parti più “intime”) ci si arrende, avvoltolati nella bellezza delle frasi e del suono. Viene il dubbio che perfino il dolore possa esser bello.
Trionfo co due giuste chiamate al direttore anche da solo, ma si doveva richiamar fuori l’intera orchestra, semplicemente meravigliosa!
marco vizzardelli
Avvilente che il Teatro, per riempire la platea e i palchi abbia dovuto
permutare biglietti acquistati per la galleria, portando gli acquirenti dalle gallerie ai palchi e platea medesimi.
Qualche appassionato ha, giustamente, commentato che Pereira avrebbe più opportunamente potuto riempire la platea con gli orchestrali della Filarmonica più il direttore del recente programma Cherubini-Verdi, tutti ben legati alle poltrone, obbligati ad ascoltare un vero concerto! In effetti, sia Budapest-Fischer che Radio Bavarese-Jansons si prestavano perfettamente allo scopo….
marco vizzardelli
Gentilissimo Vizzardelli
anche ieri sera c’è stata l’ennesima conferma della fallimentare politica di definizione dei prezzi (pricing suona più….professionale) dell’attuale gestione scaligera
Il teatro, malgrado i “riempimenti” dei palchi era vuoto (le gallerie erano piuttosto desolanti) e non è stata una gran figura per il grande, magnifico e migliore teatro del mondo
questa mattina, all’apertura della vendita per Mutter i posti più economici erano a 40 euro per cristiano; li ho lasciati lì e molti l’hanno fatto
prevedo voragini nel bilancio, ma nessuno sembra preoccuparsene, a partire dall’attuale cda che si è guardato bene, ieri di nominare …sia mai che ci si debba prendere qualche responsabilità!
Sulla politica dei prezzi ed i bilanci si potrebbe aprire un post a parte, perchè è sotto gli occhi di tutti la desertificazione di massa del Teatro.
Vorrei soffermarmi un attimo su questo concerto perchè non sono, questa volta d’accordo con Vizzardelli. Ovvero lo sono nella constatazione dell’esito eccelso, ma non nel dettaglio sul “come” esso sia stato perseguito.
Personalmente ho trovato l’esecuzione di ieri sera assolutamente rivelatoria da parte di uno Jansons in stato di grazia, così come i suoi complessi bavaresi. Rivelatoria, in quanto la Settima di Shostakovich a mio parere pur essendo contestualizzata nella produzione cosiddetta “di guerra” del compositore russo, ha sempre suscitato negli esecutori e negli interpreti un approccio trionfalistico senza “se” e senza “ma”. Fin dalla remota esecuzione documentata di Toscanini per arrivare all’ultimo Bernstein con Chicago e, per restare nelle mie esperienze “live”, al recentissimo Oue con l’Orchestra Verdi il concetto portante dell’approccio interpretativo è stato condizionato dalla vittoria nella Grande Guerra di Resistenza di cui l’esperienza dell’assedio di Leningrado è emblematica. Così mi è sempre parso molto difficile trovare delle “ombre” a questa vittoria finale, quasi gloriosamente innondata dalla luce della splendida fanfara conclusiva, il che, paradossalmente, mi ha sempre fatto porre questa sinfonia in una posizione “estranea” rispetto a tutto il resto della produzione sinfonica shostakoviana. Perchè, insomma, quando mai Shostakovich è stato nei suoi finali limpidamente trionfale? Forse nel “Canto delle Foreste” in gloria di Stalin. Ma anche nell’autoaffermazione nel finale della Decima,l’incontenibile gioia sconfina in una isteria sfrenata della quale Mravinsky è a tutt’oggi stato il più idiomatico realizzatore.
E qualche eco del suo antico mèntore l’ho trovata anche in questa realizzazione di Jansons. Ferma restando l’assoluta bellezza del suono cremoso degli archi, il peso dato agli interventi dei legni e nelle scure e morbide perorazioni degli ottoni non mi hanno fatto pensare solo ad una interpretazione concentrata sul “suono” in sè. Il peso delle percussioni, ad esempio, veramente implacabile, espressione di una distruttiva macchina di morte che tutto annienta e stritola, vinti e vincitori, di cui la marcia del primo tempo è stata solo una faccia della medaglia. Infatti mai prima di Jansons la chiusa della Sinfonia mi è apparsa tanto negativa pur nel clangore della fanfara finale. “L’ombra di Stalin non si è vista” dice l’amico Vizzardelli. Io dico di sì: si è vista e sentita. Il trionfo di Stalin ha preso il posto di quello di Hitler nell’inesorabilità ed eguaglianza impassibile dell’imperversante “stretta” impressa da Jansons e mirabilmente eseguita dai Bavaresi, che come un arco si univa alla marcia del Primo Tempo.
Esito trionfale della serata con due chiamate a Jansons a palco vuoto. Da diversi anni non assistevo a cose così, alla Scala.
Saluti
-MV
p.s. mi associo all’invito a Pereira di fornire di biglietto di ingresso gratuito con obbligo di presenza ai componenti dell’orchestra filarmonica ed al loro direttore stabile per permettere loro un ascolto di ciò che è un concerto sinfonico.
Mi associo agli elogi rivolti a Jansons e alla sua orchestra, che a mio avviso è oggi al massimo livello mondiale, forse non da sola, ma certamente non superata da alcuna altra delle grandi orchestre europee e americane.
Mi pare che non sia chiaro in quello che è stato scritto il rapporto tra la “Leningrado” e lo sviluppo della seconda guerra mondiale sul fronte russo.
L’attacco di Hitler all’URSS è scattato il 22 giugno 1941 e si è diretto subito contro la città di Leningrado, che ha subito un tragico assedio durato più di tre anni con la morte per fame freddo e cannonate di una spaventosa quantità di vittime civili.
Sostakovic ha scritto la settima sinfonia tra l’agosto e il dicembre dello stesso 1941, per cui certamente non poteva essere pervaso da un incosciente euforia di vittoria.
La cupa marcia dei carri nazisti, che Jansons ha reso in modo mirabile, facendola sentire in pianissimo da lontano e poi sempre più aggressiva e violenta nelle dodici ripetizioni del tema, domina il primo movimento, mentre in quelli centrali si sente la desolazione e il dolore per la sofferenza del popolo russo.
Il finale non è a mio avviso il trionfo di Stalin, ma un canto di speranza nella vittoria finale scritto quando alla fine della guerra mancavano tre anni e mezzo abbondanti.
Sostakovic non era stalinista, ma patriottico sì. A me la perorazione finale ricorda il “Canto di vittoria” con cui Beethoven conclude le musiche di scena dell’Egmont, dopo la decapitazione dell’eroe fiammingo. La differenza è che Beethoven conosceva la conclusione vittoriosa della lotta del popolo delle Fiandre, mentre Sostakovic, alla fine del 1941, poteva solo esprimere la speranza nella vittoria finale.
La varietà di accenti della “Leningrado” è uno degli ingredienti, che ne fanno uno dei capolavori della letteratura sinfonica di tutti i tempi.
P.S. Caro HTTP, ci credo che le gallerie erano vuote, dopo essere andate esaurite anche negli ingressi da 9 euro: tantissimi spettatori sono andati a riempire la platea e soprattutto i palchi pressoché invenduti all’insensato prezzo di 150 euro!
Io sono rimasto in seconda galleria, dove per l’appunto si stava comodissimi (e il suono è notoriamente migliore che in platea e in altri punti del teatro).
Ciao Gabriele, sui finali “vittoriosi” di Shostakovich ci andrei cauto, perchè non è Beethoven o anche Mahler e dietro alle sue apparenze di vittoria si cela sempre qualcosa di inquieto e oscuro. A volte piuttosto chiaramente, come nella Quinta Sinfonia, altre volte meno, come nella Nona. A me ieri è sembrato che Jansons volesse in qualche modo legare il finale di “vittoria” al micidiale crescendo del Primo Tempo con il medesimo utilizzo delle percussioni, veramente implacabile e spietato chiudendo la sinfonia in una nota non propriamente “positiva”. In effetti, come ho cercato di spiegare, è stata la prima volta che ne ho colto una portata negativa, da celebrazione sì, ma di morte, di guerra, non di vittoria. Ciao
-MV
cari giovani, concordando sul giudizio positivo senza “se” e “ma”, in relazione alle note polemiche sui posti vuoti, mi sembrano anch’esse parole vuote.
C’è chi ricorda Boulez che dirigeva alla Scala negli anni 90 – se non sbaglio – una magnifica e memorabile Sacre. Ebbene per riempire i loggioni hanno fatto entrare gli alpini quel giorno a Milano per uno dei loro festeggiamenti. Una selva di Penne nere in loggione, memorabile anche questo… Il tutto con platea e palchi semi-vuoti. Ahimè, niente di nuovo sotto il sole..
Sì, Max, è vero che in Sostakovic c’è spesso non ambiguità, ma ambivalenza delle sue espressioni musicali.
C’è chi dice dhe era solo antisralinista magari sottotraccia e chi dice che nella sua musica c’è solo la patria russa comunista e la lotta al nazismo: sbagliano tutti. Basterebbe un ascolto attento della Quinta sinfonia per accorgersene.
Nella Settima mi pare prevalente, come a maggior ragione anche nell’Ottava, accanto alla compassione per le sofferenze del suo popolo un sentimento di speranza, forse anche in parte dovuto al regime, in quanto un finale “disfattista” della Settima lo avrebbe mandato difilato in un gulag o davanti a un plotone di esecuzione.
Anche Jansons ha subito la prepotenza del regime sovietico .molto dopo la fine della guerra (gli fu proibito di accettare un invito di Karajan a collaborare con lui a Salisburgo, cosa che avvenne in epoca successiva), per cui una venatura malinconica nella sua interpretazione del finale non la escludo neanch’io, ma si tratta di una venatura, non di un capovolgimento del senso di quel brano.
E’ capitato spesso che sentimenti diversi si mescolassero nell’ispirazione degli artisti: nel Benvenuto Cellini di Berlioz, trasmesso ieri sera dall’Opera di Roma, alla fine l’entusiasmo per la vittoriosa impresa della fusione del Perseo si unisce a un filo di tristezza, forse per la perdita di tante sue opere, che aveva dovuto gettare nella forma che non conteneva metallo sufficiente.
Ad essere sinceri, a me non è affatto dispiaciuto essere spedito dalla galleria ad un palco centralissimo.
Detto ciò, serata entusiasmante, Jansons in stato di grazia; di questa “Leningrado” mi ha colpito il suono “nostalgico”, quasi delicato e soffuso in alcuni passaggi, mai ridondante – ma pur sempre marziale e sostenuto.
Buona Pasqua a tutti!
Correggo una mia improprietà nel precedente commento (mi è stata fatta giustamente notare da un amico). Il “volto di Stalin”, così come l’ho citato, non appartiene alla Leningrado, anche se poi, quanto a tematiche, siamo nei pressi. Trovo splendido il commento di Vono… ma resto più inebriato dal suono, e dai suoni, dell’orchestra della Radio Bavarese che dall’impostazione data dal pur magnifico Jansons. Trovo la sua attuale “fase” d’interprete da un lato maturatissima rispetto al virtuosismo giovanile dall’altro tendente ad un certo “estetismo” applicato a molto repertorio. Il bel suono è un pregio ma non lo considero un valore assoluto (sul valore di certe “screziature” abbiamo appena avuto lezione dal fantsmagorico Mahler di Fischer. Lo “sporco” in musica può anche essere un valore…).
Sul resto – la Scala e la sua politica dei prezzi… parlanop i vuoti in sala e mi pare che in tanti ci siamo espressi. Sulla qualità dei concerti Gatti-Fischer-Jansons, uno dopo l’altro, rispetto al concerto Chailly malcapitato nel bel mezzo dei tre, idem. Ognuno può trarne acconcia riflessione.
marco vizzardelli
Sulle qualità di jansons e della BRO, non aggiungo altro, se non che tra questa orchestra e la Budapest Festival Orchestra che ho ascoltato a Roma mi pare ci sia un abisso.
Al concerto (la cui qualità tecnica ritengo inarrivabile per qualunque altra orchestra eccetto Berliner e chicago) c’ero ed anche a me non è dispiaciuto accomodarmi in un bel palco centrale di terza fila…..
Riguardo alla politica dei prezzi praticata dalla Scala da tutti posta in relazione con il numero dei posti vuoti, essa c’entra fino ad un certo punto. I prezzi erano più o meno simili a quelli del Musikverein o di Monaco per lo stesso concerto. Lì i teatri erano esauriti.
Diciamo invece che al pubblico di Milano la 7 di Sostakovic, proprio o non interessa oppure non sa nemmeno cosa sia. Del resto le recenti recite del Wozzeck fanno bastano da sole a testimoniare il livello del pubblico……
OFF TOPIC: Ma da quando una stagione viene presentata non alla stampa, non al pubblico ma AL SINDACATO?? Da quando il SINDACATO rappresenta l’interlocutore primario di un teatro? Pereira, vendi i tuoi abbonamenti al SINDACATO! Roba da matti! Basta così
-MV
Non inserite aprile 2016?
è possibile che ci sia gente che quando legge la parola sindacato posta concettini senza alcun senso e sbrocca?
all’interno di un incontro lavoratori-sovrintendenza Pereira ha deciso di dare alcune informazioni sulla prossima stagione; è nella norma che i sindacati siano informati sulle principali decisioni aziendali (e la programmazione lo è)
se i lavoratori non si interessano all’azienda sono attaccati per scarso interesse, non partecipazione, insomma dei mangia stipendio
se vengono “coinvolti”, con una comunicazione unilaterale, si badi bene, è ugualmente loro colpa
antisindacalismo d’accatto
tutto ciò mi sembra una miserabile polemica ma è evidente che in questa società questi pensierini miserabili sono maggioritari e c’è solo da aver paura a vivere in questo clima.
un caro saluto a tutti
Sicuramente sono antisindacalista d’accatto. Ma all’Ansa la stagione chi l’ha comunicata, Concertante? Il sindacato o Pereira?
gentilissimo,
per quanto di mia conoscenza il verbale di assemblea è “finito” nella mani di un cronista;
di tutti i punti discussi (e sono molti) che certamente non sono di particolare interesse per il pubblico, è stata ricavata questa notizia vero segreto di pulcinella
quale sarebbe il vantaggio delle organizzazioni sindacali a far trapelare notizie ed a sostituirsi alla sovrintendenza?
un caro saluto a tutti
ps
i sindacati non saranno presenti alla conferenza stampa, quindi cortesemente la invito alla partecipazione
Ma lei Concertante è un sindacalista?
C’è un’invasione qua.
Viola
Non inserite La Cena delle Beffe?
no, cara Viola, non lo sono mai stato
sono violino concertante (chi fa il viloncello obbligato?)
saluti
Concertante