Dal 10 al 14 Febbraio 2020
Filarmonica della Scala
Direttore Eliahu Inbal
PROGRAMMA
Anton Bruckner Sinfonia n. 5 in si bem. magg.
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17 febbraio 2020
Direttore Fabio Luisi
Pianoforte Beatrice Rana
PROGRAMMA
Ludwig van Beethoven
Concerto n. 4 in sol magg. op. 58 per pianoforte e orchestra
Anton Bruckner
Sinfonia n. 2 in do min.
Giovedì 20 febbraio ore 19.30, Venerdì 21 febbraio ore 20.30, Sabato 22 febbraio ore 18.00
Direttore Daniele Gatti
Mezzosoprano: Ekaterina Semenchuck
Orchestra e Coro dell’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia
PROGRAMMA
Igor Stravinskij: Petruska
Sergeij Prokofiev: Alexander Nevskij
Mi decido a scrivere qualcosa su questi due concerti, come appassionata di musica ma non in grado di scrivere una vera critica musicale; insomma, sono lo spettatore-ascoltatore dilettante medio basso!
Dunque, il primo dei due (per la stagione sinfonica) era diretto dal vecchio Inbal, 84 anni appena compiuti due giorni fa, che non si può dire non se ne intenda di Bruckner, se non sbaglio le ha dirette tutte e incise con orchestre tedesche. La quinta secondo me è la più ostica e più moderna, a tratti sorprendente. L’interpretazione di Inbal era molto “classica”, senza ricerca di chissà quali pieghe ancora non svelate della partitura, non aiutato certo dalla compagine orchestrale in cui non riconoscevo quasi nessuno sulle prime, tanto da chiedermi se non si trattasse di un’orchestra ospite. Insomma, ero piuttosto delusa; sarò fissata, ma per me la quinta di Bruckner diretta da Abbado nel 2011 a Lucerna, è l’unico riferimento possibile, con quell’adagio lento ma denso come non mai!
Il concerto di ieri sera (stagione filarmonica) prevedeva nella prima parte il concerto n°4 di Beethoven eseguito da Beatrice Rana: pianista prodigiosa, tocco e tecnica magnifici, forse davvero il pianista migliore della sua generazione (avevo scritto la pianista ma poi ho corretto: intendo dire che è la migliore fra i pianisti della sua età, maschi e femmine).
Ma per Beethoven non mi piacciono quei pianissimi eterei, passaggi soavi e lentissimi che sgranano le note fino a non riuscirle più a legarle insieme nella percezione, a parte l’eseguità del suono, al limite dell’udibile. Mi è piaciuto perché su tutto risalta la rotondità del tocco di Beatrice Rana, di cui si resta stupiti e ammirati, ma non è il quarto di Beethoven che manderei su Marte per dimostrare ai marziani l’arte dei terrestri.
E veniamo a Bruckner: la seconda è quella che conosco meno, a me sembra la meno riuscita di tutte e nove (che poi sono dieci, comprendendo la Nullte). Il tentativo di Luisi di renderla un ascolto prezioso mi sembra un po’ naufragato in una risoluzione frammentata della partitura, dove si riconosceva a fatica la linea melodica; Bruckner è molto spesso frammentario, si interrompe, torna indietro, poi riprende, ma un filo conduttore c’è, bisogna trovarlo nel respiro da dare all’orchestra, cosa che ieri non ho quasi mai rintracciato durante l’esecuzione.
Baci a tutti Attilia
Molto deluso dalla Rana, credo che Beethoven davvero non faccia per lei. Troppe volte Luisi ha dovuto rincorrerla o riprendere le redini dei tempi. Non male i due bis, malgrado l’accompagnamento delle suonerie dei telefonini degli abbonati filarmonici; molto signore Luisi, che si siede in mezzo all’orchestra per ascoltarli.
Stessa signorilità anche nell’esecuzione della Seconda di Bruckner, che è davvero una partitura brutta brutta. Emozionante il secondo movimento. Per il resto soliti difetti della Filarmonica della Scala, ormai irrimediabilmente declassata a quarta compagine sinfonica milanese. Plauso a Luisi che, rispetto a chi di solito calca quel podio, è quantomeno un superdirettore.
L’Alexander Nevskij di Prokofiev by Daniele Gatti è una delle più emozionanti e sconvolgenti avventure musicali che sia dato di vivere oggi in una sala da concerto. Oggi e da anni: questo di Roma è il mio terzo incontro della vita con il Nevsky “di” Gatti, e ogni volta è stata un’esperienza identificativa totale fra interprete e musica, e per chi ascolta. Gatti frequenta fin da ragazzo la formidabile cantata tratta dalle musiche per il capolavoro di Ejzenstejn, che fu fra i cavalli di battaglia anche per Claudio Abbado, e lo è per Iuri Temirkanov, meravigliosi entrambi, ma forse non così “totali”, nella resa espressiva del lavoro, quanto è Gatti stesso. Nelle cui mani il Nevskij si apre e si dipana, per il nostro stupore, come una colossale “Sistina laica” (ma c’è un che di sacrale) russa, di ritmi, di colori, di tenerezza , di vita e di morte, di gloria, di eroismo del singolo e di un popolo, espressività di una Russia vissuta, sì, in maniera novecentesca, ma come una Russia universale, in cui tutto, il dolore, la battaglia, la preghiera,la vittoria, è “enorme”, è estremo nei ritmi che paiono raggiungere le soglie dell’impossibile (in particolare nella pazzesca battaglia sul ghiaccio, ma non solo), nella tenerezza, epica e popolare e nobile, del canto di requiem per gli eroi della solista, nell’incredibile tavolozza timpbrica del finale. Russia, Medio Evo, Novecento, Universo. Gatti ci dà il Nevskij totale: lo diresse, giovanissimo, a Milano con l’orchestra Rai locale di allora, ed era già memorabile ed estremo, pur nei limiti tecnici di quella compagine orchestrale poi soppressa e”riassorbita”, con le consorelle, nell’attuale, ottima orchestra torinese. Lo ha riproposto in anni recenti in un favoloso concerto con l’orchestra del Maggio fiorentino, una esecuzione di una forza emotiva e drammatica ai limiti del sostenibile. Qui a Roma l’ha anche rivestita, nei colori e nelle frasi delle strepitose prime parti di Santa Cecilia e del coro, di un’ulteriore eleganza timbrica, colori e scansione del finale in particolare. La meravigliosa Ekaterina Semenchuk, sortita iconica in abito rosso a piedi nudi, e canto in memorabile pianissimo, in cima al coro, dà essenziale contributo. Esperienza di ascolto imperdibile, conclusasi, alla prima di giovedì, con lo spontaneo e prolungato applauso ritmato della (peraltro non colma – effetto virus, come sta avvenendo un po’ ovunque?) sala dell’Auditorium romano.
Tre sommi interpreti storici del Petruska di Stravinskij, Leonard Bernstein, Iuri Temirkanov e Pierre Boulez, nel diversissimo stile di ciascuno dei tre direttori (la “grassa” tenerezza di Bernstein, la rutilante tavolozza sonora di Temirkanov, il dettaglio novecentesco estremo ma anche un poco “sfatto” di Boulez) tendevano tutti a “datare” questa musica. Gatti sembra porla al di sopra ed al di fuori del tempo, potrebbe esser stata composta, anzi non esser ancora stata composta… nel 2050. Che è un modo di porsi (in prima persona, per noi, come sempre avviene con questo direttore) di fronte alla complessità stilistica di Stravinskij. Gli strumenti sono un suono molto più leggero di quanto si ascolti normalmente ela messa in evidenza delle frasi sghembe, come frante (nel programma di sala, Franco Serpa scrive “vien da dire che con Petruska Stravinskij ha scritto non uno ma due capolavori, uno della felice giovinezza, uno della maturità). Una lettura di questo tipo mette a dura prova anche un’orchestra ferrata quale quella romana che infatti, la prima sera, sembra come “esplorare” con il direttore, il capolavoro a molte facce, concedendosi qualche inesattezza sulla quale Gatti, imperturbabile, sembra – ma non è così – “sorvolare” in nome di un “stiamo lvorando per voi” (è anche logico che in un programma composto da due brani “capitali”, nessun’altra orchestra italiana osa tanto, la complessità del Nevskij abbia richiesto prove capillari) che renderà vieppiù affascinante il secondo ascolto. Tornerò all’Auditorium domani sera, convinto che questo intrigante, “difficile” (mai scontato Daniele Gatti, e sempre “in profondità”) Petruska (che si spegne in un silenzio surreale) si compirà… visto che è stato composto adesso, o nel 2050. Ritorno al futuro.
marco vizzardelli
To
A me sfugge il motivo per il quale, indipendentemente da quanto possa essere interessante o meno il soggetto, puntualmente ci si debba sorbire la cronaca, ovviamente raddoppiata per probabile esigenza di correggere una virgola, di qualcos’altro che non c’entra assolutamente NIENTE.
Poi ci si lamenta delle accuse di fanatismo.
Andrea, il doppio inserimento non è colpa di chi scrive, semmai è colpa mia che non intervengo tempestivamente a cencellarne uno. Quindi sono io che mi scuso. Sulla seconda critica invece dissento profondamente. Il ‘manifesto’ iniziale di questo blog, nato un sacco di anni fa su un’altra piattaforma, diceva che era dedicato agli eventi della Scala, ma NON SOLO! Passando all’attuale piattaforma quella presentazione si è persa per strada, ma dal momento che è stata avanzata questa critica, mi propongo di reinserirla in qualche modo.
E ad ogni modo se si parla di musica, ogni contributo è un arricchimento, non si può dire che non c’entra niente! D’altra parte non avrebbe senso avere la pretesa di essere presenti a tutto quello che succede nel mondo, per cui la denominazione del blog resta questa, ma evviva se qualcuno si sposta oltre le mura della città (almeno fino a che il coronavirus non ci costringa all’immobilità!)*
Attilia
* detto per scherzo, non vorrei che qualcuno ora se la prendesse con me come fossi un untore o una Cassandra malaugurante
FATTO! CLiccate sotto About in alto a destra e leggerete i chiarimenti opportuni su questo blog Attilia
Andrea, io trovo che invece sia interessantissimo se qualcuno che ha la fortuna di assistere a eventi extra milanesi fa anche lo sforzo di riferirne,
Altra cosa è notare per quali artisti ci si sposta. Se statisticamente chi viaggia lo fa per ascoltare, che so, Gabriele Fatti e non Gottardo Sciallí, ci sarà ben un motivo.
Chi accusa di fanatismo non conosce la visceralità dell’esperienza musicale. O forse non sa cosa si perde quando a dirigere un concerto è un genio assoluto.
Stimolato dal gentilissimo Andrea Solari sono a commentare il concerto di Daniele Gatti all’Auditorium di Roma con l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia al quale abbiamo assistito in terza ed ultima replica. Non vogliamo essere i soliti artefici di panegirici al direttore d’orchestra milanese, pertanto saremo sintetici ed obbiettivi.
In primo luogo veniamo all’impaginazione del programma: Il Petruska di Stravisnky e la cantata Alexander Nevsky di Prokofiev possono evocare in maniera corretta e generale un tipico concerto di matrice “Russia del Novecento”. Ad un secondo livello di lettura si tratta di due opere che mettono in musica il sentimento del popolo russo: festoso nel Petruska, guerreggiante e sovrano nel Nevsky. Ad un terzo livello di lettura la festa della Semaine Grasse di Petruska si assimila alla Festa della Vittoria del Nevsky, Ad un quarto livello di lettura le due feste sono sostanzialmente un Carnevale Russo, ed ora siamo a Carnevale. Chi pensa e struttura un programma del genere riuscendo a far cogliere, musicalmente le relazioni tra le due composizioni, tale per cui la completezza della visione di insieme si rende vivida e chiara nel gioco sonoro del settimo tempo della cantata di Prokofiev è Daniele Gatti. Non conosciamo, oggigiorno, direttore che riesca a creare trait d’union del genere all’interno di una proposta concertistica. Si tratta di un unicum, di un tesoro musicale di cui essere fieri ed orgogliosi e, possibilmente, bisognerebbe cercare di non perdere una sua nota.
Veniamo al concerto in sè. Lo Stravinsky di Gatti è da sempre idiomatico: fin da un remoto Oedipus Rex con la Rai di Milano che è impresso a fuoco nella nostra mente da decine di anni, per arrivare a un Jeux de Cartes a Ravello fino al noto “Sacre”. Petruska si inserisce in questa cornice di esattezza, di cristalleria acida seppur commovente; lontana dalle resipiscenze ottocentesche di Bernstein come dal colorismo russo e rococò di un Temirkanov. E’ asciutto, aspro, trasparentissimo. E in tale nettezza di tratto si accendono e vivono passioni di intensità soggiogante.
Nevsky, viceversa, rispetto al cristallo di Petruska, è inciso nell’acciaio cupo e terribile, dolente e tragico, feroce e spietato di un’analisi estrema ma fusa in un concentrato furore espressivo, fino al Settimo Tempo, quello della Festa della Vittoria, dove il tutto viene ricondotto ad una dimensione gioiosa molto prossima, anche come “jeu” sonoro a quella della “semaine grasse”.
Un grazie a Daniele Gatti e alla prossima.
Saluti
-MV
Caro Andrea Solari, chiunque tu sia e mi piace che firmi con nome e cognome, forse non hal letto bene ciò che ho scritto, in tempi recenti, su un paio di accadimenti Scala, leggi: Tosca e meravigliosa, ripeto MERAVIGLIOSA, Quinta di Beethoven by Riccardo Chailly, che andava portata anche a Santa Cecilia perché PAZZESCAMENTE BELLA. Smetti, ti prego, di pensare che se scrivo bene di un concerto diretto da Daniele,Gatti sia una forma di fanatismo: ho enorme stima di Gatti ma… sei rimasto, almeno, indietro di un capitolo. Con Riccardo Chailly ho parlato parlo e parlerò, mi è strapiaciuto nelle ultime “cose”, attendo Salome con biglietto preso per la prima sperando finisca il delirio-virus… forse non mi conosci, ma io non scrivo per fanatismi ma, di volta in volta, per ciò che mi piace o non mi piace. Con simpatia,
marco vizzardelli.
Buongiorno,
credo che non ci intendiamo, o si insiste nell’esercizio di fingere di non capire. Il problema per come la vedo io non è il fatto che il sito sia aperto ad altri contenuti, quelli sempre ben vengano, ci mancherebbe altro. E il problema non è nemmeno la santificazione o la demonizzazione dell’uno o dell’altro. Il problema è l’opportunità.
In un forum, se mi interessa consultare o prendere parte a una discussione entro o meno in un topic, in altre parole posso scegliere se l’argomento mi interessa o meno.
Ma se apro una cronaca dedicata a un evento ben preciso, è perchè voglio leggere una discussione, ed eventualmente intervenire, in merito e limitatamente A QUESTO EVENTO. Quindi trovarmi puntualmente un wall of text relativo a qualcosa di completamente differente lo trovo un fastidio in questo contesto, nonché una mancanza di educazione da parte di chi insiste in questo esercizio.
Pure negli anni del mio fanatismo abbadiano (per intenderci quelli lucernesi) non mi è mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di inserirmi in contesti differenti imponendo di fatto agli altri di leggermi. Perchè questo è.
Mah, vedo che Attilia, nel suo ruolo di responsabile di questo forum ha aggiunto al concerto di Inbal l’altro argomento, come è sua legittima facoltà fare. Quindi è possibile intervenire su l’uno o l’alto concerto.
Caro Andrea, un abbadiano vero (come chi qui scrive è stato, come la stessa responsabile di questo forum è stata, anzi è per tutta la vita) dovrebbe avere una certa tolleranza. In ogni caso, si potrebbe risolvere la questione aprendo una eventuale sezione de La Voce dedicata ad eventi esterni, anche se ciò forse complicherebbe anziché “rioslvere”. In ogni caso, dal momento che non ho assistito al concerto di Eliahu Inbal, sarei molto lieto che mi venisse raccontato da Andrea stesso o da altri.
marco vizzardelli.
Ora anche il “bon ton” del thread è a posto per la gioia dell’interlocutore Andrea. Bene Attilia 🙂
Saluti
-MV