
Diceva Claudio Abbado: “La cultura rende ricco un Paese, anche economicamente. Non è vero che in Germania o in Austria si fa di più per la cultura perché sono più ricchi, è vero il contrario, sono più ricchi perché si fa di più per la cultura”.
Si potrebbe aprire un lungo dibattito su questa affermazione, ma è certo che non sempre la cultura – e direi anche chi lavora nella cultura e per la cultura – è in cima ai pensieri di chi governa. Purtroppo.
Abbiamo in questi mesi estivi potuto godere di una relativa tregua dall’epidemia di Sars-CoV-2. Alcuni l’hanno vissuta senza preoccuparsi troppo di prepararsi all’autunno, altri invece sono stati encomiabili nel mettere a punto, sia alla riapertura sia nelle settimane successive, e ancora adesso, con continuità, misure grazie alle quali è stato possibile conciliare una ripresa delle attività con una estrema cura e considerazione del rischio epidemico.
Tra questi ultimi certamente sono da annoverare tutti coloro che gestiscono sale da concerto e teatri. A Milano, città che ha visto duemila e trecento morti e un pesante blocco delle attività, con un coraggio unito a prudenza veramente esemplari, si sono tenuti festival (su tutti quello di Milano Arte Musica e MITO), concerti, ha riaperto la Scala, da sempre un simbolo anche di rinascita. In piena sicurezza.
Abbiamo visto organizzatori attentissimi, musicisti attentissimi, pubblico attentissimo, mascherine alzate, distanziamenti rispettati, tutte le precauzioni possibili messe in atto.
Ed ora? Porre a duecento il limite massimo di presenze di pubblico, a prescindere dalle caratteristiche delle sale, significa condannare teatri come la Scala e molte sale da concerto a chiudere. Senza motivo.
Non solo: significa punire chi ha dimostrato la massima prudenza, indicando così ai cittadini la strada della sfiducia nell’impegno e nel rispetto delle regole e mettendo ingiustamente in ginocchio un settore già molto colpito e tanto rappresentativo della cultura di questo Paese.
Chiediamo di riflettere sul senso, sul fine e sul messaggio che tutto ciò comporta e di ritornare senz’altro su questa decisione.
Questo appello è stato inviato in data 6 ottobre 2020:
al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini
e per conoscenza
– al Sindaco di Milano Giuseppe Sala
– all’Ufficio Stampa del Teatro alla Scala
– al Corriere della Sera
E’ stata avviata una raccolta di firme online su Change.org:
chi sono i promotori e i firmatari?
Elena Sarati, Patrizia Fassina, Urusla Bornhauser, Italo Leva, Attilia Giuliani. Ma è stata avviata una raccolta di firme online su Change.org
http://chng.it/88VyLZCC
Mi dispiace, la petizione è lodevole ma la firmerei solo se, includendo tutti gli altri teatri e istituzioni, escludesse il Teatro alla Scala, che li strozza tutti prendendo immeritati miliardi
marco vizzardelli
carissimi, concordo con marco che raccogliere le firme proprio davanti al luogo che con la sua inerzia e il suo immobilismo sta soffocando molte altre fondazioni e associazioni che invece lanciano grandi segni di rinascita ha un carattere paradossale che politicamente ritengo inaccettabile.
invito tutti a scrivere direttamente al ministro franceschini (ministro.segreteria@beniculturali.it) per perorare la giusta causa che segnalate. io l’ho già fatto.
Forse qualcuno non ha capito che se non vi saranno deroghe nel nuovo dcpm varrà il limite dei 200 posti per tutti i luoghi al chiuso aperti al pubblico. E siccome le regioni no potranno apportare deroghe ampliative anche gli enti che vengono definiti volonterosi chiuderanno i battenti.
Il presunto immobilismo della scala proprio non c’entra nulla.
Abbiamo già scritto al Ministro Franceschini, ovviamente il primo destinatario.
La scelta della Scala come “luogo” di raccolta firme è puramente dettata da ragioni pratiche e dal fatto che qui viviamo: il limite dei 200 posti tuttavia colpisce tutti i teatri.
Si sta cercando di “acchiappare il topo”: se ci sono altre modalità, siano le benvenute.
Certo, a non aver un tubo da fare, si andava a fare un tour Firenze, Roma, Napoli, venezia per raccogliere le firme. Nessuno lo vieta peraltro.
Elena Sarati
A leggere stamane il dpcm al punto 1.6.m, malgrado la formulazione grottesca, mi sembra che abbia prevalso l’interpretazione ragionevole. Si parla di duecento spettatori massimi al chiuso, ma si rimanda agli enti locali per eventuali modifiche. E soprattutto si consente il prolungamento di quei protocolli già adottati fin qui. Direi che il risultato è stato portato a casa, non il massimo della vita ma nemmeno il minimo.
DIE ENTFÜHRUNG AUS DEM SERAIL – Wiener Staatsoper – 12 ottobre 2020
In preparazione all’evento operistico italiano di questo autunno (la “Zaide” di domenica prossima all’Opera di Roma) ho compiuto tra ieri e oggi una trasferta a Vienna per la nuova produzione del “Die Entführung aus dem Serail”, che dell’incompiuta “Zaide” è il gemello sopravvissuto.
Incredibile che la Staatsoper non suonasse questo capolavoro da quindici anni (seppur comprensibile, visto che negli ultimi dieci ivi ha comandato il sovrintendente probabilmente meno capace al mondo).
Grande attesa dunque, e risultato contrastato. Debuttava su questo palcoscenico (a settantanove anni!!!) il regista Hans Neuenfels. Il suo spettacolo si caratterizza sostanzialmente per due componenti geniali. La prima: tutti i personaggi sono sdoppiati, un cantante e un attore. Tutti tranne il pascià che è solo attore. La seconda: come nella grande tradizione tedesca, i versi del singspiel sono riscritti.
Iniziamo con le note meno liete. Malissimo l’Osmin di Goran Juric, cantante che non ha né la voce né la tenuta ritmica per la parte. A parere mio un disastro inaccettabile. La tenuta ritmica, del resto, è problematica per tutti, e credo ciò sia riconducibile alla direzione di Antonello Manacorda. A suo merito vanno l’asciuttezza del suono e il passo teatralissimo. Il rapporto tra buca (piuttosto rialzata) e palcoscenico vede però quest’ultimo arrivare troppo frequentemente in ritardo. Discreta la Mühlemann come Blonde, ma anche qui quanta fatica. Meglio le cose vanno coi due tenori. Un po’ sfagiolato nella prima parte, poi quasi eroico Daniel Behle come Belmonte, mentre il Pedrillo di Laurenz fa il suo con intelligenza musicale notevole. Trionfatrice assoluta Lisette Oropesa, al suo debutto viennese. Chi la sentì alla strepitosa prima scaligera de “I Masnadieri” un annetto fa – io tra quelli – capisce subito che la parte di Konstanze non le è altrettanto congeniale vocalmente, ma la personalità deborda e stravince.
Per quanto riguarda gli attori, tutti molto bravi tranne l’odioso doppio di Blonde, manierata oltre il lecito.
Su tutti il Selim di Christian Nickel: dizione incredibile, capacità declamatorie formidabili, recitazione clamorosa.
La parte scenica è il vero colpaccio di questa produzione. La scena fissa mostra il proscenio di un teatro, riservato soprattutto alle comparse di Konstanze nelle grandi arie. Ma è il gioco dello sdoppiamento (i recitativi parlati sono suddivisi tra cantanti e attori) che è francamente sbalorditivo. Quando l’azione non può proseguire perché l’ingarbugliamento umano è troppo impervio, gli attori invocano dai cantanti di cantare, perché è la musica che spiega, descrive, risolve. Visivamente tutto è pervaso da una poesia struggente, indicibile in alcuni momenti (penso ad Ach ich liebte).
Così, man mano che lo spettacolo avanza – è diviso in due parti: sino a Martern aller Arten inclusa la prima – si capisce che il nodo esistenziale sta per soffocare l’unico che non può cantare perché Mozart non glielo ha concesso. Così, al termine della scena del perdono, dopo che il (discreto) coro ha terminato la sua lode al pascià, questi chiede, poiché non gli è dato cantare, di poter almeno leggere una poesia di Möricke. Al termine la Oropesa si complimenta con lui, il quale la ringrazia con le lacrime agli occhi. Buio in sala e fine dello spettacolo.
Duranta la serata applausi franchi, un buh dopo Frisch zum Tanze (credo più per la regia che fa una pantomima di Papageno e Papageno che per il tenore), un buh dopo O wie will ich triumphieren (qui perché il basso l’ha cantata indecentemente). Rumoreggia il pubblico quando il pascià annuncia di leggere una poesia.
Al calare del sipario battaglia violentissima tra buh e bravo (a Vienna in sala la mascherina è attualmente consigliata e non obbligatoria, per cui il pubblico può urlare liberamente), con un lento prevalere di questi ultimi. Applausi per tutti gli interpreti, con punte per la Oropesa. Ripresa dei buh all’uscita dell’anziano Neuenfels e del suo team, ma controreazione degli osannato che ancora una volta prevalgono.
Insomma, una serata di musica divina e di vero teatro, vissuto visceralmente da interpreti e pubblico. O Austria felix!
Manacorda è tutto, sempre, così. Questo fa. Non ho mai capìto perché, ottimo violinista, anziché lanciarsi come solista si sia lanciato come direttore
marco vizzardelli
Dalla straordinaria Budapest Festival Orchestra ho ricevuto quanto qui sintetizzo e traduco, perché “dentro” c’è la massima orchestra italiana e bisogna gioirne:
“The Budapest Festival Orchestra is among the best orchestras of the world again. The ensembles listed by the BBC Magazine in alphabetical order are the following: the Bavarian Radio Symphony Orchestra, the Berlin Philharmonic, the Budapest Festival Orchestra, the Hallé Orchestra, the Leipzig Gewandhaus Orchestra, the London Symphony Orchestra, the Los Angeles Philharmonic, the Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, the Royal Concertgebouw Orchestra and the Vienna Philharmonic Orchestra. A gorgeous company, right?”
La Budapest Festival Orchestra è di nuovo nel novero delle migliori orchestre del mondo. I complessi selezionati dal BBC Magazine sono i seguenti, in ordine alfabetico: la Radio Bavarese, i Berliner Philarmoniker, la Budapest Festival, la Hallè Orchestra, la Gewandhaus di Lipsia, la London Symphomy, la Los Angeles Philarnonic, l’ACCADEMIA DI SANTA CECILIA, , la Concertgebouw, e i Wiener Philarmoniker.
Molto opinabile, a mio avviso, l’assenza della Philarmonia e di Leningrado, in realtà fra le migliori in assoluto. Ma tant’è.
marco vizzardelli
anche per me è opinabilissimo che manchi leningrado. aggiungo inoltre staatskapelle dresden e orchestra mozart.
Sciovinismo “British”. L’”Accademia” l’hanno messa per “Sir Anthony” e mi taccio sull’Hallè.
Ovviamente della Francia nessuna.
Stupisce il “sacrificio” della Philharmonia, vista la fonte. 🙂
-MV
Gioisco anche io per la presenza meritatissima di Santa Cecilia, ormai da anni la vera eccellenza orchestrale italiana. Complimenti vivissimi!
Condivido, oltre Philarmonia e Leningrado erano di dovere la Staatskapelle e la Mozart. Hallé invece non c’entra nulla dai tempi di Barbirolli in poi
marco vizzardeòòi
l’elenco rappresenta (secondo chi l’ha stilato) le 10 migliori orchestre (top ten). Chi vuole suggerire una top ten diversa, non dovrebbe solo dire quali mancano ma per ogni voce da aggiungere deve comunicare quale togliere. Se andavano citate nella top ten Philarmonia Leningrado Staatskapelle e Mozart vanno dichiarate un ugual numero di orchestre da togliere (quindi non basta citare solo Hallé).
attualmente hallé, concertgebouw e los angeles le toglierei proprio. sono indeciso tra philharmonia e wiener, che hanno rendimenti altalenanti rispetto a chi lidirige.