Dal 6 al 29 Febbraio 2020
Giuseppe Verdi
Durata spettacolo: 2 ore e 55 minuti incluso intervallo
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Nuova Produzione Teatro alla Scala
in coproduzione con Salzburger Festspiele
PRIMO e SECONDO ATTO: 75 minuti / Intervallo 25 minuti / TERZO e QUARTO ATTO: 75 minuti
Direttore Nicola Luisotti
Regia e scene Alvis Hermanis
Costumi Eva Dessecker
Luci Gleb Filshtinsky
Co-scenografa Uta Gruber-Ballehr
Video Designer Ineta Sipunova
CAST
Il conte di Luna
Massimo Cavalletti
Leonora Liudmyla Monastyrska
Azucena Violeta Urmana
Manrico Francesco Meli
Ferrando
Gianluca Buratto (6, 12, 18, 26 feb.)
Riccardo Fassi (9, 15, 21, 23, 29 feb.)
Ines
Caterina Piva* (6, 12, 18, 26 feb.)
Noemi Muschetti* (9, 15, 21, 23, 29 feb.)
Ruiz Taras Prysiazhniuk*
Zingaro Giorgi Lomiseli*
Messo Hun Kim*
*Solisti dell’Accademia Teatro alla Scala
Sarà possibile prepararsi all’ascolto dell’opera,un’ora prima dell’inizio di ciascuna recita, con una conferenza introduttiva, tenuta dal Prof. Emilio Sala, aperta a tutti gli spettatori muniti di biglietto presso il Ridotto delle gallerie.
L’OPERA IN POCHE RIGHE
La lettura di Alvis Hermanis, che nel 2014 a Salisburgo collocava Il trovatore in una pinacoteca, aveva colpito per la capacità di annullare la cornice contemporanea al calar della notte, lasciando erompere il dramma in scene di grande potenza visionaria. Lo spettacolo viene ripreso in versione riveduta dal regista, che al Piermarini ha debuttato con la ripresa de Die Soldaten e firmato nuove produzioni de I due Foscari e Madama Butterfly e con la direzione di Nicola Luisotti, direttore della San Francisco Opera fino al 2018 e oggi direttore associato del Teatro Real di Madrid, e con un cast appassionante che include Liudmyla Monastyrska, Francesco Meli al suo quinto ruolo verdiano alla Scala, Violeta Urmana e Massimo Cavalletti.
Io mi sono stufata di perdere tempo a recensire serate orrende come questa prima de Il Trovatore!
Luisotti è un disastro di antiverdianesimo, sceglie tempi inquietanti, costringe i cantanti a cose indicibili, rallenta continuamente, stacca in un modo ma poi non riesce a tenere allora cambia. Se poi non si riesce a tenere insieme buca e palcoscenico in passaggi come «E di colei non s’ebbe contezza mai», se le voci vengono coperte per metà partiitura, se non si riesce a ottenere che tutti i coristi cantino in sincrono «Tu ci inviti a danza», beh, mi chiedo perché chi di dovere non abbia impedito che questo strazio arrivasse alla prima.
Dei cantanti uno (Meli) e mezza (Urmana) sono adeguati al personaggio. Ferrando si esibisce nel peggior «Ammaliato egl’era» ch’io abbia mai sentito, il Conte di Luna è al di sotto di ogni decenza (inizia a urlare ad «Ah l’amorosa fiamma» e non smette più, non un acuto libero, non un fraseggio che si ricordi, nulla di nulla), Leonora esibisce una voce da brutta a rivoltante e non fa capire una sola parola.
Orchestra in mood di chaillysmo puro: suono saturo, brutto, scostante.
Il coro benino.
Ma il miserabile pubblico scaligero con chi se la prende? Con l’unico che abbia fornito una prestazione artistica degna, cioè il regista, che risolve benissimo il problema arduo di rendere credibile una storia che volutamente non lo è.
Sapete cosa vi dico, cari loggionisti milanesi? Meritate tutto ciò che di orrendo vi stanno propinando, voi che avete osato buare la geniale direzione de I due foscari di un paio di anni addietro, voi che non avete nemmeno lontanamente compreso Tcherniakov in La traviata, ebbene, voi meritate di vedervi rivoltare contro la vostra ignoranza superciliosa sorbendovi il peggio. Godetevelo.
Tilla, solito problema di correzioni, la versione corretta è questa, cancellare le due sopra, grazie
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Per trovare una squallore di questo genere… non occorre andare molto lontano. Basta rifarsi all’orripilante (per regia e direzione, pur con cast vocale accettabilissimo, esattamente come qui) Ernani dell’anno prima, una situazione consimile a questa. Solo che, una volta, con Verdi alla Scala, può capitare, due volte è segno che qualcosa non funziona, anzi, che non ha funzionato in casi come questi… sperando in un futuro migliore, con tanti auguri a Firenze che non vengano ripetuti gli stessi errori nello stesso repertorio dello stesso autore dalla stessa squadra direttiva-organizzativa-artistica, che si è trapiantata nel capoluogo toscano.
Speravo di scrivere prima di altri per mettere il titolo a mio avviso giusto, cioé: Il Trovatore alla Scala è un FIASCO, ma non è colpa dei cantanti. L’ho messo qui,sopra il mio intervento, e mi spiego:
Liudmila Monastirska, Leonora: all’inizio, suscita un effetto comico involontario nell’orrida “mise” da guardiana di museo cui Hermanis l’ha costretta, ma amen. Non è già più, e per età è un po’ presto per “calare”, lo tsunami di voce ammirato alla Scala come Abigaille. Lo strumento ora è bello a tratti, a tratti ingolato, sano in alto ma non sempre, son rimasti i bei “filati” ma è subentrato un tipico vibratone oscillante da voce forse non molto ben gestita. Le son venuti dei bassi (“mi avrai ma fredda esanime spoglia”) artificiosi e androgeni da baritono, uguali al cavernoso “è morto or gli perdono” della Netrebko in Tosca, il che fa pensare che si tratti di un tipo di voci soggette a invecchiare in questo modo. L’interprete è anonima, generica. Ciò nonostante compie almeno un’impresa: regge molto bene il demenziale tempo fermo – un “adagio estremo moltissimo, quasi immobile” – di Luisotti in “D’amor sull’ali rosee”. Eroica.
Francesco Meli, Manrico: esattamente come era a Salisburgo, in questo stesso allestimento. Tanto era ben vestito e pettinato nella Tosca di Livermore, tanto è conciato, con l’improbabile chioma da “capellone”, nel look maldestro approntatogli da Hermanis e sua squadra, ma amen. Come e più che a Salisburgo, fraseggia da padreterno, ma questo ormai si sa. Il punto è che la sua voce “non è Manrico”, in alcun minutosecondo dell’opera. Non la consistenza, non i colori, che non ha. Esce con classe, sia pur arrampicandosi, da Ah Si Ben Mio, correda la Pira di sfumature, pigola il do prendendolo e abbandonandolo all’istante, per poi… emettere non una puntatura ma la puntura di un spillo in “all’armi”. Ora: è proprio necessario che un cantante che canta così bene cerchi di dimostrare di avere quel che non ha? Nessuno, ma proprio nessuno, si sogna di avere meno stima di Francesco Meli perché certi acuti sono un’impresa. Carreras era praticamente privo di acuti, ma la bellezza di tutto il resto compensava. Di Stefano quelli che aveva li ha fracassati, ma restò sublime. E allora? Francamente: Manrico aggiunge zero alla carriera e alla bravura, nota e universalmente riconosciuta, di Francesco Meli. Insistere non sembra una necessità, salvo che lo sia per lui.
Massimo Cavalletti, Il Conte di Luna: lui ha avuto in dono da Hermanis di tenere i suoi capelli naturali, ed è già un vantaggio, in compenso registicamente il personaggio non si capisce mai da dove arrivi, cosa faccia, chi sia, cosa voglia, deve spiegarcelo cantando, ma amen. Cavalletti canta, con buonissime intenzioni ma la voce sotto sforzo tende ad esser corta e faticosa. E’ artista e si concentra ne “Il Balen” che gli concede canto più riposato e inflessione, per così dire, “donizettiana” e ne esce bene. Per il resto è, purtroppo per lui, il più massacrato dai tempi a tiramolla e dalle dinamiche a fisarmonica del direttore, e tutto ciò che è invettiva – compreso il direttorialmente disatroso duetto Conte di Luna-Azucena, lo coglie in stato di sforzo e fatica. Con una direzione accorta, ne uscirebbe molto meglio. Ma qui, la direzione non è tale. Fossimo lui, protesteremmo con il direttore, o forse, protesteremmo il direttore. Accadde qualcosa di simile ai malcapitati diretti da Adam Fisher in Ernani, l’anno passato.
Violeta Urmana, Azucena: la migliore in campo. Un po’ di tempo è passato, ma contro questo… non si lotta. Ma ancora oggi, sperando abbia smesso per sempre di fare il soprano che non è mai stata, la sua splendida voce di “mezzo”, pur un po’ scurita “in basso”, delinea tutto il personaggio. Nel medesimo allestimento in versione-Salisburgo (migliore di questa approntata e aggiustata per il palcoscenico scaligero), quella notevole cantante-attrice che è la Lemieux accettò l’insolito, ma intelligente, risvolto comico scovato da Hermanis per l’Azucena iniziale, non vestita “da Azucena”. Urmana ha preferito una connotazione drammatica fin da subito, registicamente si è perso qualcosa, così come sulpiano vocale, nell’insieme, si è perso qualcosa, là dove Azucena dovrebbe esprimersi “in potenza” di suono e di invettiva. Ma la classe di Violeta è classe, e c’è ancora tutta.
Detto che il Ferrando di Gianluca Buratto accenta bene (fin troppo) la sua parte di istruttore dei turisti giunti allla galleria d’arte-Hermanis, passiamo agli autori del fiasco, che tale è stato, salutato da tre minuti di applausini, una dose di buuu distribuiti fra fine primo atto (“buata” consitente), rientro in sala e finale per il direttore, e una sonora “buata” collettiva, perfino eccessiva, per gli autori della messa in scena (è registicamente bruttino, ma non sciocco, e comunque mal riallestito, ma si vede anche di peggio), alla fine.
Nicola Luisotti è il primo autore (almeno sul campo: altri ve ne sono, cioé chi decise di allestire qui e così e con queste forze Il Trovatore) del fiasco. Irriconoscibile rispetto al brillante – magari esteriore, ma efficace, appassionante, teatrale e musicale – direttore ammirato alla Scala in Attila e in Nabucco. Qui non è stato efficace, non appassionante, non teatrale e ben poco musicale. Brutto, francamente brutto il suono orchestrale, vagolante fra l’esangue e il fragoroso-bandistico: uso volgare degli ottoni, incolpevoli ma usati così, e chiuse d’atto e d’opera volgarmente fracassone. E… avete in mente Tiramolla? Quel personaggio dei fumetti che si allunga e si accorcia e si attorciglia in continuazione? Ecco, Il Trovatore di Luisotti è così, un costante tiramolla di tempi e di dinamiche a fisarmonica, che costringe i cantanti a respirazioni talora pazzesche per starci fisicamente dentro (Cavalletti in particolare avrà pure qualche difficoltà di peso vocale, ma è stato zero aiutato dal direttore, anzi il contrario). Per un totale di tre ore di direzione contro il canto, non solo: la bella dote del Luisotti giovane direttore verdiano era l’immediatezza, il calore spontaneo, l’accento magari non raffinato ma efficace. Tutto perso, o lasciato andare a favore di una capziosa, involuta concertazione che non si capisce dove voglia andare a parare fra eccessi di estenuazioni lunari prossimi alla fermata, monotonia d’accompagnamento e di ritmica, e improvvisi fragori privi di fuoco. La “Zingarella” risulta insipida e “Squlli, eccheggi” gratuitamente fragoroso e, già che parliamo di coro, di suo la compagine vocale di Casoni canta come sempre molto bene ma – non di suo, ma dal podio – in questa “prima” era quasi costantemente non-in-sincrono, mentre l’orchestra “con quella faccia un po’ così” che mostra in queste occasioni era, come dire – non di suo, ma dal podio – professionale ma priva di spirito. E veniamo da sue prove magistrali, in Tosca e Romeo e Giulietta! Dunque… proprio una brutta direzione.
Alvis Hermanis, e collaboratori, regia scene costumi. Qualcosa di più “vestibile” da Monastirska all’inizio dell’opera, si sarebbe potuto tentare, ma amen. Avevamo visto questo suo spettacolo a Salisburgo, con la direzione di Daniele Gatti. Già non mi sono mai sentito e non mi sento di individuare in questo Il Trovatore, con questo allestimento, una delle imprese che meglio motivino la mia enorme stima per Gatti: infatti, non la definirei una messa in scena che offra al direttore chissà quali stimoli musicali. Però, là su quel palco esteso, aveva una sua efficacia che la “compressione” inevitabilmente attuata per le dimensioni del palco scaligero ha parzialmente vanificato. Si è persa parecchia dell’efficacia dei passaggi fra un “abito” e l’altro, che è il motivo di questo spettacolo. Non meritava, a mio avviso, la selva dei buuu ma, più semplicemente, un certo grado di indifferenza, che è ciò che io ho provato. Ma qui alla Scala il peggio è venuto dal podio, e mi dispiace perché, finora, ne ho avuto stima.
marco vizzardelli
Anch’io rimasta allibita, soprattutto alla fine della prima parte, il più brutto Trovatore mai visto e sentito in vita mia. Però non saprei a chi attribuire la colpa primigenia di tanta negatività che per Vizza nasce dal podio. Io ho persino recepito delle finezze orchestrali non disprezzabili (quando l’orchestra era “da sola” a suonare), nella mia tensione di captare qualcosa di bello. Insomma non saprei da che parte cominciare. Sicuramente l’allestimento non ha giovato, vedere la Monastirka vestita da sorvegliante di museo mi ha tolto ogni poesia su Leonora. E non mi dite che questo non conta, il lavoro di fantasia che uno spettatore deve fare per immaginarsi come dovrebbe essere Leonora è sfibrante e si perde tutta la magia che il personaggio dovrebbe emanare, tutto perduto già dall’inizio. Ma voi scegliereste Tina Pica per farle interpretare Cleopatra o Zucchero in A qualcuno piace caldo? Insomma, l’opera è teatro, tutto deve essere convincente! Solo se il canto è impeccabile si può sorvolare, ma così è impossibile.
Aggiungo che anche Meli in questo ruolo spesso “spara” la voce in modo disturbante, a parte che a me il suo timbro non è mai piaciuto.
La seconda parte è andata meglio, ma a casa ho dovuto risentirmi parti della famosa edizione Karajan con Domingo, Kabaianska, Cossotto, Capucilli, van Dam, tanto per capire come è il Trovatore.
Ciao a tutti, penso a Mirella oggi, indimenticabile Mirella!
Attilia