Filarmonica della Scala

29 Apr

29 aprile 2019

Milano, Teatro alla Scala

 

 

 

 

 

 

 

Direttore Riccardo Chailly
Violino Emmanuel Tjeknavorian
Jean Sibelius
Finlandia, poema sinfonico op. 26
Jean Sibelius
Concerto per Violino e Orchestra in re min. op. 47
Johannes Brahms
Sinfonia n. 1 in do min. op. 68

14 Risposte a “Filarmonica della Scala”

  1. der rote Falke aprile 29, 2019 a 9:46 PM #

    Questo direttore d’orchestra è sempre peggio. Al brutto suono, alla noiosa conduzione, alla piattezza interpretativa; questa sera si aggiungeva un senso di incertezza che pervadeva i professori d’orchestra.
    Imbarazzo tra il pubblico.

  2. gianna aprile 30, 2019 a 7:12 am #

    io ho trovato il concerto strepitoso. Siete faziosi nel denigrare il Grande Maestro

  3. marco vizzardelli aprile 30, 2019 a 7:48 am #

    Pochi secondi di applausi dopo Finalndia. Entusiamo e bis per il violinista. Trionfone giusto per Chailly dopo il magnifico Brahms. Il pubblico ha ben dosato le reazioni. Gran concerto, comunque, nel suo complesso.

    marco vizzardelli

  4. marco vizzardelli aprile 30, 2019 a 8:44 am #

    Pareva, quasi, che lui e orchestra avessero letto certi commenti recenti apparsi qui, reagendo di conseguenza. Riccardo Chailly ha eseguito, con la Filarmonica in stato di grazia, la, a mio avviso, miglior “Prima” di Brahms ascoltata qui al Teatro alla Scala dai tempi del grande brahmsiano Carlo Maria Giulini. C’era tutto. fraseggio rotondo, voluttuoso, il senso di “grande e di “piccolo” che è proprio di Brahms, ovvero dalla densità e dal senso strutturale alla nota più intima (meravigliosi, con Chailly, i due movimenti interni, e gli interventi di clarinetto ed oboe in particolare). C’era una magnifica tinta brunita (celli e bassi splendidi). Il direttore si è avvalso di una squadra di corni all’altezza, per cui tutta la fase introduttiva del finale è sortita sontuosa, plastica ma non “ingombrante”, sempre con suono morbido. Momento realmente fatato la prima esposizione del famoso “tema della Nona” (chiamiamolo così, per capirci) dove Chailly, in un microistante fa precedere l’esposizione dal pizzicato dei celli: ed è poesia. Già, poesia e sentimento accoppiati ad una evidente consentaneità con una materia praticata da una vita ma qui rivissuta con un calore ed un senso poetico che sempre vorremmo da Chailly. Un cenno di esuberanza del timpanista nel finale è stato ripreso al volo dal Maestro, con uno sguardo e la mano. E lo sguardo di Chailly, stavolta diceva tutto, di quanto ha “sentito” questo magnifico Brahms.

    Davvero fosse sempre così. Non lo era, infatti, la poco significativa esecuzione di Finlandia, infatti andata via con due applausi, dopo suono morchioso e sgradevole (vero che il brano è di suo, volutamente “ostico” ). Lo era invece, in buona parte, il Concerto per violino del medesimo Sibelius, che si è giovato della prova, colma di lirismo e poesia, dell’eccellente violinista Tjeknavorjan, volto da poetico, bravissimo ragazzo come era apparso nelle interviste sui quotidiani, e suono e condotta esecutiva.dalla quale lo stesso Chailly, nella ricerca di toni lirici e sommessi (salvo qualche sonorità esuberante qua e là) è parso come avvinto. Il concerto è poi, in sé, un vero gioiello.

    Ma è il Brahms che ha fatto, davvero, la differenza. Attendo di riascoltarne altro, da Chailly. Questa “Prima” è, allo stato dei miei ascolti, forse da massimo brahmsiano vivente. Va detto.

    marco vizzardelli

  5. der rote Falke aprile 30, 2019 a 9:05 am #

    Marco, scusami ma non ti seguo.
    Tutto Sibelius è stato di una mediocrità e noia disarmante, con suoni francamente orrendi.
    Quanto a Brahms, ti concedo solo una certa nobiltà nell’esposizione del tema beethoveniano del quarto movimento. Per il resto. Il primo movimento è passato via senza fremiti, quasi con indifferenza. Il secondo e il terzo movimento hanno visto molte molte incertezze degli strumentisti (assenza di prove?), con un effetto pressoché di orologio a cucù. Se poi guardiamo al quarto movimento, il corale è passato via in modo quasi infastidito. Un direttore, poi, che non riesce nemmeno a mettersi d’accordo col proprio timpanista sull’effetto che desidera in quel mirabile passo che è la stretta finale non è davvero un grande maestro.
    Se poi volete gridare al miracolo fatelo pure. Per me è robaccia spacciata con uno spruzzo di raffinato sussiego.

    • Tosca Maggio 4, 2019 a 11:08 PM #

      Concerto non memorabile, tuttavia è stato un bel Brahms, ricercato nei suoni, nei tempi e nei fraseggi. Sibelius un po’ noioso e incerto.
      Il timpanista è un giovane ospite e forse per questo qualche incomprensione con il direttore può capitare.

  6. luca g. aprile 30, 2019 a 9:11 am #

    leggo di confronti con Giulini. ma siamo fuori??? a me ieri sera è piaciuto solo il violinista. Finlandia è stato rumore, la Prima una lettura inferiore a quella, già non eccelsa, di Trevino con La Verdi… non scherziamo, su.

  7. lavocedelloggione aprile 30, 2019 a 9:23 am #

    Anch’io da ignorante rispetto alla maggior parte dei commentatori qui, scrivo il mio parere: Finlandia solo fracasso, e qui siamo tutti d’accordo (Finlandia era capace di renderla bene forse solo Karajan con i Berliner), Sibelius meglio il solista ma comunque un’interpretazione nel complesso buona; Brahms in effetti non mi ha convinto, troppo rumore e troppo stretto nei tempi, una versione più beethoveniana che brahmsiana. Giulini era ben diverso, eleganza e tempi dilatati ma non forzatamente lunghi, lo preferisco senz’altro. Certo non si può dire che fosse una brutta esecuzione, questo no, ma non la prenderei a riferimento come interpretazione magistrale della prima di Brahms. Tutto qui, buona giornata Attilia

  8. lavocedelloggione aprile 30, 2019 a 12:55 PM #

    Mentre correvo ai giardini prima, mi è venuta una folgorazione, ve la espongo, anche se può benissimo darsi che la troviate sbagliata.
    Mi è venuto in mente il romanzo di Franzen “Le correzioni” , dove una dei protagonisti, Denise, pensava sempre che “questa volta sarà diverso”. Ecco, ho pensato che Chailly abbia questa pregiudiziale nel suo essere musicista e direttore d’orchestra, quella del “questa volta sarà diverso”: così è quando tira fuori la ur-versione di un’opera, o il finale meno tradizionale, o la partitura perduta e ritrovata che-non-avete-mai-sentito, etc etc. Lo stesso atteggiamento, secondo me, lo ha anche quando dirige una partitura classica, non la novità filologica del momento; mi dà sempre l’impressione che sottilmente voglia “correggere” l’autore, metterci del suo, come dire: vedete, adesso sì che è chiaro, perché sono intervenuto io, se no ancora non avreste capito. Insomma mi sembra ci sia sempre un intento didattico-didascalico; invece dovrebbe solo lasciarsi andare, consegnarsi di più all’autore e svelare la composizione, non farle resistenza. Resta comunque un grande musicista, molto colto e preparato, penso che sarebbe un ottimo docente di master class per direzione d’orchestra, ma dovrebbe essere più spontaneo quando dirige, mi piacerebbe di più; così come è adesso ci sento sotto una certa arroganza, sicuramente inconsapevole, ma tant’è, rovina il risultato. Attilia

  9. leopold aprile 30, 2019 a 4:04 PM #

    Strepitoso concerto ieri sera. Un profondo Sibelius, lirico e appassionato e una straordinaria interpretazione di Brahms, potente, energica, quasi violenta. Tempi perfetti con un senso del fraseggio, del ritmo, con un’orchestra in grado di reagire alle sollecitazioni di Chailly aprendosi dal pianissimo al fortissimo in maniera naturalissima e con virtuosistica continuità; un Brahms monumentale, dove la fluidità del suono, la compattezza assoluta del tutto non tralascia lo scavo dei temi, dove il tutto ha funzionato a meraviglia nel rendere questa Prima davvero memorabile. Ben se n’è accorto il pubblico in sala (quello scevro da pregiudizi s’intende), che ha tributato al maestro Chailly una meritata ovazione. Risultato magnifico anche a detta degli orchestrali con il quale mi sono intrattenuto a discorrere. Per ora, di gran lunga il miglior concerto della stagione. Del tutto fuori luogo paragonare Giulini a Chailly che è come dire paragonare Antonino Votto con Giuseppe Sinopoli. Si tratta di approcci e di sentire personali antitetici che valgono per e nelle loro differenze: ci danno diverse interpretazioni in linea con le loro differenti personalità. E questo è il bello, la vera ricchezza della musica: sapere cogliere il senso dell’interpretazione non in base ai propri gusti personali ma secondo le aderenze del sentire di chi fa quella musica.

    • Lallabel aprile 30, 2019 a 8:04 PM #

      Mi spiace Leopold, ma il concerto con Luisi è stato superiore, e di molto.

      • Leopold Maggio 1, 2019 a 10:48 am #

        Mi siace Lallabel ma assolutamente no. Il concerto di Luisi è stato un buon concerto ma mancava quel senso di profonda trascendenza mistica che contraddistingue Bruckner. Suonato bene, gli orchestrali mi hanno detto che lavorano ottimamente con Luisi ma in quanto a pienezza esecutiva il Brahms di Chailly è stato superiore (se ha senso fare classifiche). In ogni caso, se fosse stata un’orchestra straniera diretta da un altro direttore, tutti a gridare al miracolo esecutivo. Purtroppo il pubblico della Scala è come la curva Nord, quella che fischia Icardi. Stesso livello di giudizio, meglio di pre-giudizio.

  10. marco vizzardelli Maggio 2, 2019 a 4:16 am #

    Non ho paragonato Chailly a Giulini. Sono molto differenti anche se di Votto ci vedo pochissimo. Ho detto che io non gradivo tanto alla Scala una Prima così dai tempi di Giulini che ovviamente era interpretativamente diverso da Chailly.

    mviz

  11. marco vizzardelli Maggio 6, 2019 a 12:48 PM #

    Ma proprio non si riesce d avere, qui sul blog, il correttore? Battendo velocemente scappano gli errori. Va be?, terza e definitiva (non correggo più) versione. Chedo scusa

    —————————————————————————————————————–

    In questi giorni, due eminenti direttori italiani ci hanno proposto letture di due diverse sinfonie di Brahms. Alla Prima, eseguita da Riccardo Chailly a Milano con la Filarmonica della Scala, ha fatto seguito la seconda, nelle mani di Daniele Gatti, a Roma con l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia.
    Abbiamo avuto “due ottimi Brahms”. Due sinfonie, due volti e due modi interpretativi diversi (così dev’essere!) ma entrambi validi. All’approccio – sintetizziamo e banalizziamo, per farci intendere, “tedesco-olandese” di Chailly alla Prima (suono brunito, scolpitura e scansione e stile tutto nel senso di una grande tradizione di “suono ” brahmsiano) ha fatto riscontro l’approccio “viennese”, luminosità, mobilità di fraseggi e magnifico uso del “rubato” da parte di Gatti nella Seconda. Appropriatissimo se si pensa che la più lirica e “intima” delle quattro sinfonie brahmsiane ha visto la luce proprio “nel” suono dei Wiener Philarmoniker. In più Gatti vi si è immerso, come sempre fa, con tutto se stesso, dando una inaudita mobilità di frase all’intero lavoro. . Georges Pretre, Maestro della mobilità di fraseggio, benedirebbe. E l’esito è stato, sabato terza sera (quando son stato presente) fantastico: un Brahms dalle mille sfaccettature – intima e marziale, serena e dolorosa – dal suono luminosissimo e, con quella mobilità di frase che ha trovato nell’orchestra di Santa Cecilia uno “strumento” di straordinaria duttilità, e virtusosismo, e poesia (proprio all’inizio l’attacco dei corni, dolcissimo, era una meraviglia!). E il finale era… schegge di luce, senza che tutto ciò avesse a smembrare la sinfonia, la cui architettura, pur nella mobilità, restava perfettamente salda. Grandezza di Brahms, prima di tutto, perfettamente individuata nella lettura musicale.
    Allora: a Milano con Chailly, a Roma con Gatti, noi che alla domanda “le piace Brahms?” rispondiamo professando amore incondizionato, siamo stati due volte appagati. La classicità modernamente rivissuta di Chailly in un suono brunito e”rotondo”, la luce e la libertà di Gatti ci hanno come “imbevuti” di Brahms. Differenti? Sì, eppure dietro entrambe le letture si scorgeva (conscia o inconscia) anche un’eredità interpretativa comune. Quando Chailly, nell’ultimo movimento della Prima, anzichè monumentalizzare dinamizza e rende trasparente il “tessuto” orchestrale. Quando Gatti, nel Secondo Concerto eseguito prima della sinfonia nr 2 “porta” dalla sua parte, in trasparenza e sfumature, il pianismo solitamente “monumentale” e granitico di Bronfman, e poi nella sinfonia ottiene una trasparenza concertativa da ragnatela sonora,… ecco, in entrambe le letture dei due direttori milanesi fa capolino il precedente storico del Brahms “di” un loro sommo collega e concittadino: Claudio Abbado. Le cui letture di Brahms, classiche e modernissime allo stesso tempo, attendono forse una riflessione e attenzione critica pari a quella riservata al Mahler, al Beethoven di Abbado stesso. Siamo grati a Gatti e a Chailly di averci fatto, allo stesso tempo, amare e riflettere, nel nome e nella musica di Brahms.

    marco vizzardelli

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