Filarmonica della Scala

7 Mar
06 marzo 2017
Milano, Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Pianoforte Maurizio Pollini

Ludwig van Beethoven

Concerto no. 5 Imperatore

Ludwig van Beethoven

Sinfonia no.7
_____________________________
Ricordiamo il Maestro Zedda, che ci ha lasciato ieri, lunedì 6 marzo 2017

8 Risposte a “Filarmonica della Scala”

  1. lavocedelloggione marzo 7, 2017 a 8:03 PM #

    Scusate il ritardo per l’inserzione di questo concerto.
    Ricordiamo qui anche il maestro Alberto Zedda, che ci ha lasciato ieri, lunedì 6 marzo 2017

  2. Pippo marzo 8, 2017 a 8:26 am #

    C’era un certo sconcerto tra il pubblico uscendo dal concerto (scusate il gioco di parole). L’ha sintetizzato benissimo una loggionista: «Possibile che le serate peggiori qui alla Scala siano quelle quando dirige il direttore principale?».
    Ormai mi sembra chiaro che ci sia un problema Chailly, grosso come una casa.
    Lasciamo perdere la prima parte, dove evidentemente ha prevalso l’impostazione polliniana, e quindi il direttore era un po’ a rimorchio, con brutti scollamenti nei movimenti esterni. Ma passi.
    Il problema è stata la Settima. Perché è chiaro che Chailly ha una sua idea, che poi è quella realizzata nei dischi di Lipsia. Ma l’orchestra non la fa sua, per cui si passa da una strappata a un’altra, con stranissimi cambi di dinamica, dove il pianissimo e il piano scompaiono dall’orizzonte, i fiati che faticano a rimanere intonati, i corni costantemente sotto stress fanno cose strane, gli archi cercano un aplomb che non trovano, eccetera.
    Sinceramente è stato un disastro.
    A chi giova proseguire così?
    Nessuno in orchestra ha il coraggio di fare propria l’osservazione della loggionista?
    Il consiglio di amministrazione dorme?

  3. Luca marzo 8, 2017 a 9:09 am #

    LA STAMPA
    ALBERTO MATTIOLI
    MILANO
    Lunedì sera la Scala, ovviamente, era piena: concerto della Filarmonica diretto da Riccardo Chailly, solista Maurizio Pollini, in pratica tre milanesi su tre, direttore, pianista e orchestra, e in programma due hit beethoveniane come il Quinto concerto per pianoforte e la Settima sinfonia.

    Cominciamo dalla fine. Chailly ha, da sempre, le sue idee sui tempi «di» Beethoven (inteso sia come i tempi giusti per eseguire Beethoven sia quelli prescritti dallo stresso compositore), esplicitate nella famosa, discussa integrale delle sinfonie incisa con la Gewandhaus rispettando i metronomi «originali». Con la Filarmonica, le scelte non sono state così estremiste, ma si è sentito (finalmente, verrebbe da dire) un Allegretto che era effettivamente tale e non la solita marcia funebre, un Presto incandescente e un Finale dove gli archi erano davvero a rischio di slogarsi qualche articolazione sotto l’incalzare della bacchetta. Si può discutere, come si può discutere tutto, ma è innegabile che questo Beethoven sia coerente. E, poiché l’importate in musica non è cosa si fa, ma come, va dato atto all’orchestra di aver fornito una prestazione virtuosistica (e con una pulizia di suono che non sempre abbiamo sentito) e al direttore di aver trionfato dei rischi che ha deciso lui stesso di assumersi. Inoltre, una simile velocità non va a detrimento né della ricchezza dei dettagli strumentali né della nettezza nell’articolazione delle frasi.
    È un Beethoven energetico, scattante, dinamico, a tratti forse perfino troppo, ma qui entrano in gioco i gusti personali o l’idea che abbiamo della sua musica. Mi sembra però abbastanza evidente che non sia stata solo una bella Settima; è stata una Settima interessante, cosa che personalmente, scusate il bisticcio, mi interessa di più.
    Quanto al concerto «Imperatore», chi non accetta compromessi è anche Maurizio Pollini che, a 75 anni, si rifiuta di «accomodarselo» e lo affronta con la lucida agilità di sempre. E ci riesce: almeno lunedì, il virtuosismo era quello del miglior Pollini, al servizio di un’interpretazione asciutta, tesa, antiretorica (l’Adagio un poco mosso senza languori né sentimentalismi, e proprio per questo ancora più magico) e con la capacità, tipicamente «polliniana», di far sentire dentro il suo Beethoven la musica che verrà. Bravissimo anche Chailly ad accompagnarlo, e questa volta con tempi più comodi ma non rinunciatari. Ne è uscito un «Imperatore» solido,, concreto e compattissimo.
    Ero seduto a sinistra guardando il palcoscenico e mi sono goduto tutto il gioco di occhiate dal podio al pianoforte (un giorno bisognerebbe scrivere un pezzo su come i direttori guardano i loro solisti, e viceversa): era evidente l’«idem sentire» dei due. Lo ha colto il pubblico, che ha tributato loro un trionfo. Ma credo lo sentisse anche Pollini, che ogni volta che veniva a prendersi i suoi molti applausi non ha mai trascurato di stringere la mano al primo violino e di far alzare l’orchestra. Bellissima serata.

    • Pippo marzo 8, 2017 a 7:49 PM #

      Quella che Mattioli definisce «una prestazione virtuosistica» per me è stato un penoso tentativo di portare a casa la serata senza danni.
      Che invece ci sono stati.

  4. Ste marzo 8, 2017 a 9:45 am #

    Riposto due miei post sull’adorato Pollini.
    Anche l’Imperatore non è stato alla sua altezza.
    Altro che problema Chailly !
    C’è un problema Pollini: e spero che il grande pianista lo capisca al più presto !

    **************
    Riposto quello che scrissi nel novembre 2016 che devo ribadire dopo questo concerto.
    La riconoscenza, l’affetto ed il rispetto per un immenso musicista non sarà mai intaccato.
    Ma sarebbe meglio, come ha fatto il grande A. Brendel, lasciare da grandi con un ricordo al pubblico di quando si è ai massimi.
    Un concerto come quello dell’altra sera suonato da un giovane pianista di Brescia sarebbe stato criticatissimo.
    Per Pollini non è così: ed è giusto che sia così !
    Ma un grande è tale anche da come si congeda.
    Ed essendo il declino in atto da anni, mi auguro che ciò avvenga prima che il tardivo congedo intacchi la grandezza.
    Penso che Maurizio possa dare ancora tantissimo anche fuori dalla sale di concerto.

    ****************
    Seguo Maurizio Pollini dal 1971.
    E’ a mio avviso uno dei più grandi pianisti viventi e le emozioni che mia ha dato sentirlo nel corso di tutta la sua evoluzione non potranno mai essere cancellate.
    Da qualche anno, con mio grande dolore, vedo un progressivo decadimento non solo tecnico (ma questo sarebbe l’ultimo dei problemi), ma di suono, di intepretazione, di svuotamento interiore, di nervosismo assoluto nei primi 30 minuti di concerto: non è più il Pollini che ero abituato a sentire.
    Da tempo non ricordo nuovi pezzi o nuovo repertorio (se si eccettuano gli sconfinatmenti nella musica antica dei suoi vari ‘Progetti’ intorno al mondo dove spesso non suonava).
    Il concerto dell’altra sera, a parte alcuni momenti sempre sublimi ed eccelsi, ne è stata l’ulteriore conferma.
    Se penso alla Fantasia di Schumann sentita anni fa dalle stesse mani, siamo lontani anni siderali.
    Anche il suo Chopin, per non parlare di Beethoven, sono pallidi ricordi di quello che ci aveva abituato.
    Il rispetto per un grandissimo (forse il più grande) pianista dei nostri tempi rimane intatto.
    Ma mi chiedo perchè continuare ad esibirisi quando, lui stesso ne sarà pienamente consapevole, non riesce più a mantenere il livello a cui siamo sempre stati abituati.
    L’idea nei prossimi anni di continuare a sentire Pollini come Placido Domingo mi rattrista.
    Il grande Alfred Brendel ha lasciato le scene al massimo della sua carriera e continua a dedicarsi alla musica in altro modo.
    Maurizio Pollini spero che presto prenda la stessa decisione presto. Al mondo della musica, ai giovani, alla cultura può dare tantissimo anche lontano dal palcoscenico
    Con infinita ammirazione riconoscenza.

    • Stiffelio marzo 8, 2017 a 6:25 PM #

      Su Pollini nulla posso dire perché bisognava sentire il concerto . Ma su chailly condivido in pieno quanto scritto da Mattioli. Riguardo ovviamente all’incisione Decca che considero una PIETRA miliare. Tempi rapinosi chevlasciano senza fiato . E orchestra a livelli stratosferici. Oltre che qualità audio superlativa. Forse l’orchestra della scala non è a questo livello. Ma averci provato ed aver seguito in totalmente le intenzioni del direttore è sinonimo di grande feeling. Del resto a Verona la loro seconda di schumann era stata di altissimo livello.

  5. ruggero r. marzo 8, 2017 a 7:55 PM #

    sono totalmente d’accordo con Pippo: della interessantissima lettura di Chailly con il Gewandhaus non è rimasto nulla se non l’affanno di un fraseggio strattonato. prestazione largamente insufficiente del direttore musicale.
    ma sono d’accordo anche su Pollini: una decadenza che inizia a essere troppo evidente.
    concerto da dimenticare.

  6. ruggero r. marzo 13, 2017 a 7:44 PM #

    DIMENTICATEVI IL 7 DICEMBRE 2017.
    L'”ANDREA CHÉNIER” DELL’ANNO È ANDATO IN SCENA IERI A MONACO

    arrivo dall’opera di stato bavarese dove ieri sera ho potuto assistere a un favoloso Andrea Chénier.
    una regia di Stölzl di rara intelligenza, iconografica quanto basta, moderna il giusto, orrorifica nel mostrare le violenze rivoluzionarie.
    Omer Meir Wellber entusiasma per la sua lettura spedita e mozzafiato.
    Kaufmann in formissima.
    Grandissima Harteros (una “Mamma morta” da ricordare a lungo).
    Salsi sempre più convincente.

    insomma, quel che ci verrà rifilato dal bolsissimo e inutile Chailly e dal signor Netrebko il 7 dicembre 2017 nasce già perdente.
    come totalmente perdente è ormai l’ambiente scaligero.

    un suggerimento. sul sito della Scala si possono trovare gli stipendi annui di alcuni dirigenti. cliccate e vedete. poi confrontate con il bilancio dell’opera di Monaco rinvenibile su internet. fate il confronto. e incazzatevi come me.

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