Claudio Monteverdi
Basso continuo Concerto Italiano
Produzione Teatro alla Scala e Opéra National de Parigi
Durata spettacolo: 3 ore e 20 minuti incluso intervallo
Direttore | Rinaldo Alessandrini |
Regia, Scene e Luci | Robert Wilson |
Collaboratore alla regia | Tilman Hecker |
Collaboratore alle scene | Annick Lavallée-Benny |
Collaboratrice ai movimenti coreografici | Fani Sarantari |
Costumi | Jacques Reynaud |
Lighting designer | A.J. Weissbard |
Drammaturgia | Ellen Hammer |
Nerone | Leonardo Cortellazzi |
Poppea/La Fortuna | Carmela Remigio |
La Virtù/Ottavia | Monica Bacelli |
Amore | Silvia Frigato |
Ottone | Sara Mingardo |
Lucano, 1° soldato, 2° famigliare, 2° console | Luca Dordolo |
2° soldato, Liberto, 1° tribuno | Furio Zanasi |
Arnalta | Adriana Di Paola |
Nutrice | Giuseppe De Vittorio |
Seneca | Andrea Concetti |
Valletto, 1° Console | Mirko Guadagnini |
Drusilla | Mária Celeng |
Mercurio, Littore, 3° famigliare, 2° tribuno | Luigi De Donato |
Damigella | Monica Piccinini |
1° famigliare | Andrea Arrivabene |
Ho assistito alla replica di sabato, ripresa di questo vero capolavoro, che, citando G.F. Malipiero: – L’incoronazione di Poppea e l’Orfeo si dovrebbero rappresentare tuttora sulle scene italiane. Sono i più solidi pilastri del nostro teatro musicale e possono degnamente occupare il posto d’onore nel «repertorio nazionale-.
Pressochè ottimi i giudizi di quest’anno, non troppo diversi da quelli della prima.
Rinaldi Alessandrini ed il Concerto raggiungono risultati certamente superiori a quelli dell’anno scorso: i tempi sono più serrati, c’è più “vigore” o forse solo un ovvio e naturale affiatamento. Alessandrini si conferma ancora una volta lucidissimo interprete delle opere monteverdiane e mi pare evidenziare la concisione delle azioni.
Nel ruolo di Poppea ho apprezzato la Remigio ma forse la Persson fu una scelta migliore. Sara Mingardo e Monica Bacelli eccellenti, mi verrebbe da dire come al solito. Nelle voci maschili spiccano Cortellazzi e Concetti, davvero bravissimi.
Su regia scene e luci al contrario di molti, ascoltati anche in teatro, ho un giudizio diverso: il tutto (perché davvero di questo si parla) è raffinatissimo e mai lezioso. C’è, cosa per me fondamentale, un totale rispetto per la musica ed il testo: davvero meraviglioso con momenti di vera poesia.
Riprendendo le considerazioni già fatte l’anno scorso, lascio a voi cosa pensare di una programmazione così folle (perché quest’anno riprendere l’Incoronazione? perché, il prossimo anno, il 450°, non si riprendono tutte e tre?) e, più generalmente, incaponirsi nell’esecuzione di opere barocche all’interno di un teatro con tale infame acustica.
Il tutto è per me incomprensibile.
AIDA A NOVARA, TEATRO COCCIA
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Vuoi vedere che il Teatro Coccia di Novara ha allestito la più significativa Aida andata in scena in un teatro italiano da molti anni a questa parte? Direte: le classifiche e i paragoni non hanno senso. Quel che è certo è che l’Aida vista, in prima, a Novara venerdì sera trasuda e rimanda una straordinaria energia, in una evidente partecipazione di tutte le parti al progetto comune. E’ un’ Aida voluta, pensata, progettata, motivata al di sopra ed al di là di qualunque routine (pericolosa e frequente in un titolo tanto diffuso), con una voglia di farla, e di farla bene, che dal teatro e nel teatro ha coinvolto tutti coloro che l’hanno realizzata, musicalmente e scenicamente: e tutto questo – e alla fine è l’essenziale – “passa” al pubblico con forza dirompente.
Tramite musicale del tutto è Matteo Beltrami, qui ad avviso di chi scrive, approdato ad una delle sue prove più alte nel senso di quel far musica e “montare” una realizzazione musicale “portando” al risultato, e ad una propria idea precisa, tutto il cast e l’orchestra ed il coro: il livello raggiunto dall’Orchestra del Conservatorio Cantelli di Novara e dai Cori San Gregorio Magno e del Ticino (maestro Mauro Rolfi) testimonia un pazzesco lavoro di preparazione, che si fa risultato artistico. Basterebbe citare, in orchestra la profusione di colori, l’esattezza del ribattuto guerresco degli ottoni (atto primo, fin dall’introduzione a Celeste Aida, scena del trionfo impressionante, e ancor più accompagnamento a Nel Fiero Anelito della Vittoria), lo slancio lirico degli archi ove occorra; e nel coro (ma in tutti) la parola, la chiarezza assoluta e la drammaturgia del “dire” (e questo è Verdi!): sì che i concertati ne escono come radiografati. Preparazione, studio, risultato: così si fa l’opera, portando i complessi ed ognuno, con studio e preparazione a superare se stesso. Operazioni in cui Beltrami ha, a quanto ci consta, pochissimi paragoni fra i direttori della sua generazione, e non solo. Quando “fa nascere” uno spettacolo suo dall’inizio, Beltrami (ne abbiamo avuto tante e tante prove) approda a questo tipo di esiti.
Come è la sua Aida? Negli ultimi anni siamo bombardati da dichiarazioni sulla “riscoperta” del cosiddetto “lato intimo” di Aida (come non ci avessero già pensato Abbado e Karajan anni ed anni fa): ne son sortite diverse Aidine decadenti, svenevoli, “intimiste”. Dimenticando che si tratta di un’opera di guerra, di trionfo, di sconfitta, di rudezza militare, di crudeltà sacerdotale. E dimenticando che Verdi è sempre e comunque dramma, teatro, teatro e ancora teatro. Matteo Beltrami ci dà il teatro e la guerra (senza tralasciare la vicenda dei singoli, il dramma dell’anima) in una scansione scorrevole, mobilissima, a tratti incandescente (finale del trionfo, travolgente). Non calca la mano sull’esotismo (ma le danze sono eseguite con grande eleganza), fa fremere, di vita e poi di morte, la vicenda. Verdi è drammaturgo in musica: se il trionfo non è trionfo, muore il successivo atto del Nilo (accadeva, purtroppo, nell’ultima,smorta Aida scaligera). Beltrami lo sa, e muove tutto di conseguenza. Dal sogno iniziale di Radames al calare della fatal pietra sugli amanti, il dramma ne esce perfettamente “conseguente”.
Questa Aida è una scommessa vinta fin nella scelta di una protagonista che l’anno scorso cantò, qui a Novara, la Corinna del Viaggio a Reims: vince, anzi, stravince l’Aida di matrice lirico-belcantista di Alexandra Zabala, e vince perché canta benissimo, filando, rafforzando e smorzando, e perché “nel canto” trova il personaggio, restituendolo delicato e forte, trepidante. Va bene, a questo punto, il rapporto musicalmente dialogico con la vocalità robusta, “militaresca” (il lato guerriero dell’opera) di Walter Fraccaro-Radames, che pure apprezzabilmente si piega a lirismo nel finale, non facile per una vocalità “materica” quale la sua. E’ vibrante l’Amneris di Sanja Anastasia (con le due donne, Beltrami costruisce benissimo il duetto, trepidazione di Aida, insinuazioni, tranello poi furia della rivale). A posto l’Amonasro di Fabbian, il Ramfis di Di Matteo, bene il Re di Gianluca Lentini. Si sente, nel cast, l’adesione ad un progetto musicale. Ed è la forza di cui parlavamo.
I registi Paolo Gavazzeni e Pietro Maranghi sono “militanti” dell’opera, e si vede: ci danno una Aida elegante (belli i costumi e i pilastri mobili color sabbia di Leila Fteita) e anche forte. Evitano le insidie del “negozio paccottiglia egizia” e – evviva! – l’horror razzista dei negretti-scimmiette (vero, Zeffirelli e Stein?) qui sostituiti da un molto più simpatico gioco di adulti e bambini. Montano uno spettacolo essenziale ma di gusto, gradevole all’occhio e funzionale al dramma. Si può far tradizione senza far scadere Aida a ciarpame finto-egizio.
Successone alla prima, con evidente e giusto orgoglio locale per una realizzazione che fa onore al luogo. Proprio perché evidentemente progettata e voluta. E’ bello veder far l’opera così.
marco vizzardelli
LA VERDI VA GIU’, MILANO SINFONIA MEDIOCRE
La stagione 2016-17 dell’ Orchestra Verdi è un crollo verticale. Ho seguito e sostenuto questa istituzione negli ultimi anni, sperando in una svolta, ma (perso oltretutto il motore Corbani) giungo alla conclusione che era entusiasmo mal riposto. E’, istituzionalmente, l’Orchestra delle Occasioni Perdute. Lo era quando, avendo il giovane Vladimir Jurovsky come primo direttore ospite, lo perse. Né Noseda né Chailly si son fermati. Ora, come era ampiamente prevedibile, perde anche il treno-Bignamini, e per il direttore è sicuramente un bene. fa e farà di meglio. Ma l’istituzione, La Verdi, annuncia una stagione desolante, e non basta il rantolo del vecchio Slatkin messo lì a diradare la sensazione di una congenita vocazione alla mediocrità. Si dirà, ma a Milano c’è la Scala e poi noi non abbiamo soldi. Ormai son le scuse di anni e anni. Vengono annunciati come direttori di riferimento per la nuova stagione uno molto amato da certa critica inerte ma mollato nella vita da tutte le grandi orchestre e un altro cui la Scala fa dirigere qualche balletto. Questi i “riferimenti”. Tristi e triti. I soldi? Viene il dubbio che avesse ragione il Ministro dello Spettacolo quando, lo scorso anno, lanciò qualche ammonimento al riguardo.
La Verdi aveva acceso qualche speranza che Milano potesse avere una stagione sinfonica di livello alternativa alla non-stagione degli otto-dieci concerti, di cui tre o quattro sempre svogliati, della Filarmonica della Scala: che non sono una stagione. Men che meno i cinque sei, svogliatissimi della cosiddetta stagione sinfonica della Scala.
Prendiamo inoltre atto che, viventi e operativi almeno una decina di direttori, italiani e stranieri, di alto o altissimo livello delle generazioni fra i 35 e i 55 anni, Milano, a partire dalla Scala, è ormai ricettacoli o di ultrasettantenni quando non di quasi centenari, a parte le incursioni per affetto (ben poco ricambiato dalla sua città) del milanese Daniele Gatti alla Scala. E prendiamo atto che avere una vera stagione sinfonica di livello a Milano rimane un’utopia. La Scala fagocita attenzioni e impegni? Non diciamo storie! Londra ha un grande teatro lirico e, diciamo, cinque orchestre di livello mondiale. La Germania ha, facciamo dieci (ma forse di più) orchestre sinfoniche di livello con relative stagioni. Parigi ha un prestigioso teatro d’opera ma la National de France e all’Orchestre de Paris ha costruito un auditorium e ha chiamato Daniel Harding. Roma ha la strepitosa stagione sinfonica di una eccellente orchestra e in più sta facendo rinascere il proprio teatro d’opera. Milano non è capace di dotarsi di una prestigiosa e continuativa stagione sinfonica. La Verdi resta un’occasione persa, per colpa di se stessa (molto!) e delle istituzioni cittadine, regionali e nazionali. Ma, davvero molto, anche di se stessa, se e quando, come ora, si autocondanna alla mediocrità.
marco vizzardelli
Vizzardelli, ma è proprio Corbani che ha affondato economicamente la Verdi facendola vivere, da vent’anni a questa parte, al di sopra dei suoi mezzi, non le viene questo dubbio?
chissà che ora le cose non siano semplicemente più realistiche, dunque che con i fondi che hanno a disposizione quella è la stagione che possono proporre e non altro, non le viene pure questo dubbio?
concordo con Vizzardelli sulla qualità della stagione e con proet per le motivazioni. Non ho i dettagli delle sovvenzioni statali ma ricordo un articolo sul tema che metteva in evidenza il fatto che le grandi orchestre europee (citate da Vizzardelli) ricevono la maggior parte delle entrate proprio da soldi pubblici. Senza una vera sovvenzione pubblica, la Verdi non credo possa permettersi molto più di quello proposto per l’anno prossimo