ADDIO PIERRE BOULEZ

6 Gen

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Pierre Boulez

Montbrison, 26 marzo 1925 – Baden Baden, 5 gennaio 2016

 

4 Risposte to “ADDIO PIERRE BOULEZ”

  1. lavocedelloggione gennaio 6, 2016 a 8:38 PM #

    Un altro grande se ne è andato, un grandissimo musicista, mi verrebbe da dire un musicista-scienziato, rigoroso ma non astratto, asciutto ma non senza spiritualità. Il mio ricordo più bello è una sua master class di direzione d’orchestra a Lucerna, un’esperienza illuminante, ho capito cosa significhi fare il direttore d’orchestra!
    Addio, ci mancherai! Attilia

  2. proet gennaio 6, 2016 a 9:46 PM #

    ci mancherà di più il direttore o il compositore? (io la mia l’ho detta già varie volte in questa sede….)

  3. Gabriele Baccalini gennaio 7, 2016 a 1:03 PM #

    Ci mancheranno tutti e due, caro Proeta, e anche il musicologo e il didatta, come giustamente dice Attilia.
    Io l’ho scoperto per caso come direttore una cinquantina di anni fa, aprendo la Filodiffusione a Quinta di Beethoven già iniziata (sì, la Quinta di Beethoven). Mi accorsi subito che era diversa da tutte le Quinte già sentite, compresa quella dal vivo di Karajan con i Berliner. Sentito il nome, corsi da Ricordi e trovai il disco, che tra gli accademici aveva fatto scandalo, perché Boulez aveva ampliato la struttura dello Scherzo rispetto all’edizione approvata da Beethoven. Ma l’edizione critica di Del Mar riporta anche la formulazione adottata da Boulez e da allora anche Claudio Abbado e altri direttori l’hanno utilizzata.
    Non ho perso neppura una delle apparizioni di Boulez a Milano, dalla Lulu del 1979 all’ultimo concerto con Pollini e la Filarmonica dedicato a Bartòk. In quella occasione diresse fasciato dalla cintola in su per cinque costole e una clavicola rotte in una caduta all’aeroporto. Ma era sempre lui, con la lucidità e la passione intellettuale-artistica, che lo contraddistingueva.
    Del compositore, oltre a ricordare il memorabile Repons all’Ansaldo, potrei scrivere a lungo, ma preferisco ricordare di una volta che ero in un palco con due persone del popolo alla loro prima esperienza alla Scala. Boulez dirigeva l’Ensemble Intercontemporain e la Kammersymphonie op.9 di Schoenberg piacque solo a me, ma nella seconda parte quando il maestro diresse una sua composizione scintillante, un po’ weberniana per intenderci, i due neofiti non volevano credere che quella musica così bella l’avesse composta l’omino che stava sul palcoscenico in mezzo ai suoi orchestrali: dovetti assicurarglielo due o tre volte.
    Era a suo modo un eretico, un rivoluzionario borghese: il 13 luglio 1989 al Conservatorio, per una fenomenale esecuzione di Amériques e del Sacre, Corbani – allora Assessore alla Cultura – gli chiese come mai non fosse a Parigi l’indomani per la celebrazione del bicentenario della Bastiglia. La risposta fu: “Mi sono stufato di celebrare la Rivoluzione, è ora di farla!” Chiamato dal Governo francese come saggio per dei consigli sulla riforma dei teatri lirici, rispose che non andavano riformati, bisognava bombardarli.
    Come tutti gli amanti del paradosso, secondo la definizione di Luigi Einaudi, ricercava e scopriva la verità “esponendola in modo da irritare l’opinione comune, costringendola a riflettere ed a vergognarsi di se stessa e della supina inconsapevole accettazione di errori volgari“.
    Così ricorderò Pierre Boulez. monumento di intelligenza e di passione, sulla breccia fino a quando le forze lo hanno sostenuto. Due anni fa era ancora all’Accademia di Lucerna, poi si è spento lentamene dopo avere compiuto i 90 anni.
    Ci mancherà, e come!

    • proet gennaio 7, 2016 a 1:12 PM #

      Grazie Baccalini, lei ha già detto tutto e anche di più. Standing ovation.

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