11 Giu

http://materialismostorico.blogspot.it/2014/06/mozart-e-leducazione-sentimentale-come.html

Vi proponiamo da commentare la tesi di Martha Nussbaum espressa nel suo libro  Emozioni politiche. Perché l’amore conta per la giustizia, editore Il Mulino,  sul contenuto rivoluzionario de “Le nozze di Figaro” di Mozart-Da Ponte. Paolo Mieli ne ha parlato ieri, 10 giugno 2014, sul Corriere della Sera.

 

In questo stesso post inserisco anche la locandina del concerto di lunedì della Filarmonica della Scala

Direttore Fabio Luisi
Pianoforte Lise de la Salle
Camille Saint-Saëns

Concerto per pianoforte no.2
Richard Strauss

Eine Alpensinfonie

19 Risposte a “”

  1. lavocedelloggione giugno 11, 2014 a 7:46 am #

    Ecco il testo pubblicato sul Corriere della Sera di martedì 10 giugno a firma di Paolo Mieli:

    La libertà canta al femminile attraverso le note di Mozart
    Susanna e la contessa sono rivoluzionarie, Figaro no

    Paolo Mieli Corriere della Sera Martedì 10 Giugno, 2014

    Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais (1732-1799) fu segretario di Luigi XV, istruì alla musica le sue figlie, aiutò i ribelli americani, ideò il diritto d’autore, ebbe vivaci scontri con alcuni maggiorenti del suo tempo, ma soprattutto scrisse una fortunatissima trilogia: Il barbiere di Siviglia (1755), Le nozze di Figaro (1778, ma messo in scena solo nel 1784) e La madre colpevole (1790). Le nozze di Figaro (La folle journée ou le mariage de Figaro) è da sempre considerata una pietra miliare lungo la strada che portò alla Rivoluzione francese per come rappresentò la transizione dal feudalesimo alla modernità e la modificazione dei rapporti sociali nella Francia dell’epoca. La vicenda apparentemente giocosa e innocua del conte D’Almaviva che insidia Susanna, la cameriera della moglie, promessa sposa a Figaro, contiene evidenti elementi di satira contro le usanze di corte e le gerarchie sociali del Settecento.

    L’imperatore austriaco Giuseppe II ne vietò la messa in scena, accusando la commedia di seminare l’odio tra le classi sociali. Tant’è che Wolfgang Amadeus Mozart e il librettista Lorenzo Da Ponte decisero — nel ricavarne un’opera (1786) — di attenuarne gli aspetti più corrosivi, togliendo dal testo originario il lungo monologo dell’atto V in cui Figaro denuncia, appunto, le rigide regole della gerarchia feudale. Ma — sostiene Martha C. Nussbaum nel libro Emozioni politiche. Perché l’amore conta per la giustizia , che sta per essere pubblicato dal Mulino — questa è solo apparenza. Secondo Nussbaum, l’opera di Mozart (che l’autrice analizza alla stregua di un testo filosofico cogliendovi anticipazioni di quel che poi si troverà in Jean-Jacques Rousseau, Johann Gottfried Herder, John Stuart Mill, August Comte e addirittura Rabindranath Tagore) è ancora più politica e rivoluzionaria di quella di Beaumarchais. Ed è stato un grave errore considerarla fin qui «meramente domestica» anziché «fortemente politica».
    Le nozze di Figaro , ricorda l’autrice, «sono considerate un testo chiave nella storia del liberalismo per il modo in cui vi si immagina la sostituzione dell’antico regime con un nuovo ordine basato sulla fratellanza e sull’uguaglianza». Ma in genere «chi è interessato alla vicenda di Figaro si rifà alla commedia di Beaumarchais e ignora l’opera di Mozart e di Da Ponte». E invece, sostiene con decisione, è «l’opera ben più della commedia il testo filosofico che chiunque rifletta sul futuro della democrazia liberale dovrebbe studiare con attenzione… L’opera, assai più della rappresentazione teatrale, riesce a reggere il confronto con i maggiori interventi filosofici settecenteschi sul tema della fratellanza, e in particolare con quelli di Rousseau e di Herder, perché, a differenza della commedia, ma appunto al pari di Rousseau e di Herder, essa attribuisce un ruolo centrale alla cura delle emozioni, necessarie a fare della fratellanza qualcosa di più di una bella parola». Le nozze di Figaro mozartiane, secondo Nussbaum, a dispetto di quel che Da Ponte disse a Giuseppe II per convincerlo ad autorizzarne la rappresentazione, «è politica e radicale tanto quanto la commedia, e ben più profonda, perché indaga i sentimenti umani che sono i fondamenti necessari di una cultura pubblica di libertà, uguaglianza e fraternità». Le tre parole chiave della Rivoluzione francese.
    Stando alla versione corrente, Beaumarchais avrebbe messo in scena «l’opposizione fra un antico regime basato sulla gerarchia e la subordinazione (impersonato dal conte D’Almaviva) e una nuova concezione politica democratica, basata sull’uguaglianza e la libertà (incarnata da Figaro)». Per questo il monologo del V atto in cui Figaro denuncia il privilegio ereditario sarebbe il momento chiave del testo di Beaumarchais; Mozart, avendolo eliminato, avrebbe depoliticizzato l’opera, trasformando il conflitto fra il conte e Figaro in una banale competizione per una donna. Ma Nussbaum ritiene che Mozart non abbia affatto individuato nel contrasto tra il conte e Figaro «il cuore del conflitto politico» e, pur accettando che il conte sia l’emblema dell’antico regime, non abbia dato per scontato che Figaro rappresenti la nuova cittadinanza. Anzi, secondo Nussbaum, «Figaro e il conte sono del tutto simili, tanto musicalmente quanto tematicamente». Di «che cosa cantano quando sono soli? Di onore oltraggiato, di desiderio di vendetta, di piacere del dominio; le energie che muovono questi due uomini non sono diverse, bensì profondamente coincidenti (tanto che un unico baritono potrebbe in teoria, cantare entrambe le parti il cui linguaggio è così simile che si rischia di confonderle)». La cavatina iniziale di Figaro, Se vuol ballare , segue la sua scoperta che il conte ha in progetto di sedurre Susanna. Ma se si sta ad ascoltare semplicemente quello che Figaro canta, non sapremo mai dell’esistenza di un essere umano di nome Susanna. Tutti i suoi pensieri sono «rivolti alla rivalità con il conte», e le sue reiterate negazioni («non sarà, non sarà») anticipano quelle perentorie del conte alla fine dell’opera.
    Il conte immagina Susanna posseduta da Figaro, che egli considera «un vile oggetto», ed è questo a tormentarlo, non perché egli provi amore o un desiderio particolarmente intenso per Susanna, ma perché gli risulta intollerabile che gli sia, appunto, preferito un mero «oggetto». Proprio come Figaro, è assillato dall’idea di un altro uomo che ride di lui, insulta il suo onore, lo costringe a vergognarsi. Anche musicalmente, oltre che testualmente, l’aria del conte è affine a quella di Figaro: piena di una furia dirompente che esplode quando la voce arriva alle parole «felice un servo mio», e poi ancora «ah non lasciarti in pace»; la rabbia nella musica è accompagnata da una sprezzante ironia (la frase calante che accompagna «un vile oggetto»). Il libretto, osserva l’autrice, «ci fornisce qualche indicazione sulla similarità fra i due uomini, ma l’arco espressivo della musica va ben oltre nel sottolineare la loro affinità ritmica e di accenti che spazia in entrambi dal disprezzo beffardo alla rabbia furiosa». Mentre sono del tutto assenti emozioni, amore, meraviglia, piacere, ma anche dolore e desiderio.
    Secondo la lettura politica convenzionale del testo di Beaumarchais, Figaro diventa nell’atto V «l’apostolo di un nuovo tipo di cittadino, emancipato dalla gerarchia». Il Figaro di Mozart non compie questo passo avanti. Come ha osservato Michael Steinberg, che molto si è dedicato a questo tema, per tutta l’opera (quantomeno fino alla conclusione dell’atto IV) Figaro «balla», musicalmente, al ritmo imposto dal conte: «Egli non ha trovato un idioma musicale suo proprio; e così anche il suo vocabolario politico ed emotivo è una riproduzione di quello del conte», sia in Non più andrai , alla fine dell’atto I (dove impersona «l’autorità con la quale il conte ha appena mandato Cherubino in servizio presso uno dei suoi reggimenti, impostando le sue frasi sul tempo di una marcia militare»), sia in apertura dell’atto IV, quando, desideroso di cogliere Susanna in flagranza di infedeltà, egli canta ancora dell’onore offeso, chiedendo a tutti gli uomini di «aprire un po’ gli occhi» sui modi in cui le donne sanno umiliarli. Ancora una volta, sono gli uomini, non le donne e meno che mai una donna in particolare, i destinatari delle sue parole. Potrebbe darsi che Mozart non sia riuscito a cogliere l’opposizione tra Figaro e il conte che Beaumarchais ci ha proposto. «Ma non corriamo troppo», scrive Nussbaum, «forse, al contrario, Mozart vede qualcosa che Beaumarchais non percepisce: che l’antico regime ha formato gli uomini in una certa maniera, di modo che la loro preoccupazione sia il rango, lo status, l’onore offeso, e che tanto i signori quanto i servi rivelano questa impostazione; ciò che uno non vuol perdere, l’altro desidera ottenerlo. In entrambi i casi, data questa ossessione, non esiste spazio per la reciprocità né men che meno per l’amore».
    A conferma di quanto detto, due personaggi secondari dell’opera, Bartolo e Basilio, intervengono a rafforzare questa percezione. Le loro arie (Bartolo nell’atto I, Basilio nel IV) spesso tagliate nelle rappresentazioni, non richiamano nulla del testo di Beaumarchais. Bartolo è, «in termini emotivi», affine sia a Figaro, sia al conte. «Diverso dal punto di vista vocale, essendo un basso, tuttavia egli canta con le stesse espressioni: analoghi scoppi di rabbia e livore, temperati da quel tono malizioso che già conosciamo in Se vuol ballare di Figaro». Quanto al testo, il suo personaggio sembra offrire la teoria generale di ciò che intendono sia Figaro che il conte: «La vendetta, oh la vendetta/ È un piacer serbato ai saggi:/ L’obliar l’onte, gli oltraggi/ È bassezza, è ognor viltà». Quindi la vita «è quasi completamente incentrata sulla competizione fra maschi per ottenere status ed evitare la vergogna, e la cosa più intelligente da fare è giocare la partita fino in fondo». Il comportamento consigliato non solo fa sì che la rabbia e l’umiliazione cancellino l’amore e il desiderio (Bartolo, come Figaro e il conte, non si cura affatto di Rosina, che nel Barbiere di Siviglia ha ceduto al conte con un intrigo di Figaro), ma impedisce anche ogni tipo di perdono o riconciliazione. È questo atteggiamento che porta ai sei «no» consecutivi del conte alla fine dell’opera. Bartolo ci mostra anche qualcosa riguardo alla cittadinanza e alla ragione, perché egli è molto interessato al diritto. La sua convinzione è che il diritto sia uno strumento della vendetta maschile, e chiunque ne sia esperto la spunterà sempre su chi non lo conosce, perché riuscirà in ogni occasione a trovare «qualche garbuglio» con cui sconfiggere il suo nemico.
    Basilio, maestro di musica che nella precedente commedia di Beaumarchais, Il barbiere di Siviglia , espone con entusiasmo il potere devastante della calunnia al fine di sconfiggere un nemico, inizialmente sembra capovolgere l’etica di Bartolo, che però in fin dei conti rafforza. Da Ponte lo presenta «come un uomo malevolo e debole, carente delle risorse che ci vorrebbero per competere alla pari con i nobili, e privo anche dell’intelligenza necessaria a gareggiare con un Figaro». La sua aria nell’atto IV, «offre suggerimenti agli uomini che si trovano in questa stessa posizione di debolezza». Esordisce affermando che è troppo rischioso entrare in competizione con i «grandi», dal momento che loro sono destinati a vincere. Sempre. Ma… racconta un episodio della sua giovinezza quando era impulsivo e non sentiva ragioni. «Donna flemma» gli regalò una pelle d’asino che usò per coprirsi dalla pioggia. E, sorpresa, il lezzo nauseabondo di quella pelle bagnata ebbe poi il benefico effetto di tener lontano un animale feroce. Morale: «Così conoscere/ Mi fe’ la sorte/ Ch’onte, pericoli/ Vergogna e morte/ Col cuoio d’asino/ Fuggir si può». Quest’aria, secondo l’autrice, apparentemente «offre un consiglio diametralmente opposto a quello di Bartolo, che ci suggerisce di usare il sapere e il diritto per sopraffare la persona che ha causato la nostra umiliazione; ma la somiglianza è evidente: entrambi vedono il mondo nello stesso modo, come un gioco a somma zero per la difesa dell’onore e dello status. La sola differenza è che Basilio è consapevole che alcuni sono destinati ad essere perdenti, ed egli vuole suggerire loro come limitare i danni». Fin qui gli uomini.
    È con i personaggi femminili che entrano in scena i valori della Rivoluzione francese. Susanna e la contessa potrebbero essere rivali: dopotutto il conte sta cercando di tradire la moglie seducendo la futura sposa di Figaro. Ma «il pensiero non le sfiora nemmeno». Esse «capiscono di avere finalità comuni, perché ciò che ciascuna desidera è che i due uomini, Figaro e il conte, diventino mariti innamorati e fedeli mossi da affetto e piacere, anziché da vendetta e gelosia». Come i due baritoni, le due donne condividono un idioma musicale — al punto che possono essere scambiate l’una per l’altra anche dagli uomini che affermano di amarle (è però interessante che Figaro riconosca alla fine Susanna proprio dalla voce, «la voce che adoro»). Qui però Nussbaum non coglie che c’è tra le donne una lieve differenza sotto il profilo della voce: la contessa è un soprano lirico, mentre Susanna è un soprano leggero. In ogni caso, prosegue l’autrice, a differenza degli uomini, le donne utilizzano la loro affinità non per combattersi ma per cooperare e, in particolare, per la complessa messinscena che alla fine svela l’ipocrisia del conte. Osservando la loro intesa «si nota chiaramente che non c’è nulla di tutto ciò tra gli uomini». L’accordo fra le due donne, inoltre, nonostante la differenza di classe, appare come del tutto privo di gerarchie, basato sul vantaggio derivante a ciascuna da un’amicizia condivisa e genuina («Susanna, per esempio, nell’atto III è sorpresa di essere proprio lei — forse non molto istruita — a dover scrivere la lettera al conte per proporre l’incontro»). La reciprocità si vede nella natura dei loro scherzi, senza trucchi maliziosi o beffardi sottintesi; vi è solo solidarietà l’una verso l’altra e lo stesso desiderio di giungere a un buon fine.
    Tutto questo è nel libretto, ma, come ha fatto notare Wye Jamison Allanbrook, «la musica porta ben oltre l’impressione di reciprocità e di uguaglianza». Man mano che la contessa detta la lettera e Susanna scrive, «le donne traggono ispirazione dalle rispettive frasi musicali, scambiandosi idee con una sinuosa capacità di risposta e un’immediata consapevolezza dell’altezza, del ritmo e anche del timbro dell’altra». Iniziano «con uno scambio di frasi come in una normale conversazione; con il procedere del duetto, però, la loro intesa diviene più intima e più complessa, il loro avvolgersi l’una nell’altra raggiunge un’intensa armonia. Il loro sodalizio musicale «esprime una sorta di amichevole accordo, che è, potremmo dire, manifestazione di reciproco rispetto, ma anche di un affetto profondo; nessuna delle due cerca di prevalere sull’espressività dell’altra, e ciascuna contribuisce con qualcosa di proprio, che poi è riconosciuto dall’altra e sviluppato ancora.
    La promessa del duetto non è la semplice promessa di una libertà come mero rovesciamento delle parti, libertà di umiliare colui che ti ha umiliato. È una libertà che — ha scritto Allanbrook — ci porta oltre l’immagine, fonte di ansia e di insicurezza, di ciò che dovrebbe essere la libertà per gli uomini. È invece la libertà di essere felici, di avere accanto qualcuno uguale a te: la libertà di non doversi preoccupare di chi sta sopra e chi sta sotto. In altre parole, conclude non senza una qualche enfasi Nussbaum, «questa musica ha inventato la reciprocità democratica». Battersi per la libertà senza la fraternità, come fa il Figaro di Beaumarchais, significa solo capovolgere la gerarchia, non sostituirla con qualcosa di fondamentalmente diverso. Se ci deve essere un nuovo ordine, se mai ci sarà a questo mondo qualcosa che assomigli a una politica di rispetto ed equità, dovrà iniziare come il canto di queste due donne, e ciò significherà diventare un nuovo tipo di essere umano, radicalmente diverso. Ne viene fuori che il mondo maschile del Figaro «è una prigione dove ogni uomo passa la vita dominato dall’ansia del rango». La promessa non può che essere quella di rivoluzionarlo. Anche se, ad inficiare l’apoditticità di queste tesi, va osservato che l’anno successivo all’inizio della Rivoluzione francese, vale a dire nel 1790, gli stessi Mozart e Da Ponte misero in scena Così fan tutte , un’opera che — eccezion fatta per l’aria di Despina In uomini, in soldati — è sostanzialmente maschilista e contraddice buona parte delle teorizzazioni di Nussbaum sul rapporto contessa-Susanna. Ma non fermiamoci qui.
    È il personaggio di Cherubino, che non canta con voce maschile ed è impersonato da un mezzo soprano, che, sostiene Nussbaum, porta con sé il messaggio positivo dell’opera tutta. In genere Cherubino è descritto superficialmente come un saltimbanco il quale (per come lo aveva presentato Beaumarchais) non ha un ruolo ben definito. Ma è l’unico personaggio maschile in tutta l’opera che esprima interesse nei confronti dell’amore. Ed è il suo idioma musicale, ben più del testo di Beaumarchais, che ci fa intendere che la sensibilità di Cherubino (Voi che sapete ) è poetica e romantica e che il suo slancio nei confronti del genere femminile non è frutto di mera eccitazione. Cantando meravigliosamente, Cherubino candida se stesso alla fraternità, all’eguaglianza e alla libertà. Quelle femminili, beninteso. Tanto che, prima di essere promosso, deve ancora superare la prova decisiva: travestirsi da donna.
    «Certo, è la trama della storia che richiede questo trucco», osserva Nussbaum, «ma Mozart collega tale momento ai sentimenti più profondi del cuore». E l’aria di Susanna che lo aiuta a realizzare tale travestimento, Venite… inginocchiatevi , rende il senso di quel che l’autrice intende sostenere. Sostiene che ciò che Mozart vuole dirci, rendendo l’aria così stringente, e allo stesso tempo giocosa, è che «proprio qui, in un intimo momento di tenerezza, vengono gettati i semi del rovesciamento dell’antico regime». A cominciare dall’inginocchiarsi. Nel corso dell’opera quest’azione compare spesso; «in tutte le altre occasioni (fino agli istanti finali) è simbolo di gerarchia feudale: superiorità da una parte, obbe dienza dall’altra». Nel «mondo democratico delle donne, invece, la genuflessione è semplicemente l’atto di mettersi in ginocchio». Ci si inginocchia, come fa Cherubino, di fronte alla persona che ci aggiusta cuffia e colletto. L’inginocchiarsi «non ha valenza simbolica; è soltanto un’azione utile». E con Mirate il bricconcello Susanna spiega che Cherubino è attraente proprio perché, sebbene maschio e appassionato alle donne, non ne è attratto per controllarle e usarle come pedine nelle competizioni con altri uomini. Bensì per poterle amare. Invece del dominio, ci sono fascino e grazia; invece dei complotti per nascondere la vergogna o vendicare l’insulto, ci sono «furbe guardature» che rendono il ragazzo simile alle donne nel loro amore per gli scherzi e i pettegolezzi.
    Così, osservando Cherubino, ci rendiamo conto di quanto poco rivoluzionario sia l’apparente radicalismo di Figaro. Non solo perché egli mutua dall’antico regime l’atteggiamento del suo padrone verso le donne, ma per qualcosa di più globale. Figaro semplicemente vede il mondo nello stesso modo in cui lo vede il conte: in termini di ricerca dell’onore e di fuga dalla vergogna. Se il nuovo mondo avrà cittadini come lui, il cammino verso l’uguaglianza e la fraternità non cesserà di essere pieno di ostacoli. Le vecchie gerarchie saranno rimpiazzate dalle nuove, come tanti bastioni a difesa dell’io maschile. Ed è sul personaggio di Cherubino che, secondo Nussbaum, Mozart incontra Rousseau e soprattutto Herder. Entrambi, fa notare Nussbaum, «condividono con Mozart la convinzione che una nuova cultura politica necessiti del sostegno di sentimenti nuovi, ed entrambi ritengono, come lui, che questi sentimenti debbano includere non solo quelli pacati del rispetto e dell’amicizia, ma anche, a sostegno e a stimolo di questi, qualcosa di più come l’amore, diretto alla nazione e ai suoi scopi morali».
    Cherubino ha posto le basi di quello che sarà l’«amore civile» che si trasformerà, presto, in «religione civile». Un’«emotività civile» che smuoverà e travolgerà l’Ottocento. Contagiando Mill sul tema delle libertà: «Mozart e Da Ponte compresero che non era sufficiente disporre di buoni documenti fondativi, nemmeno di buone istituzioni» e che la libertà doveva «penetrare nelle pieghe profonde della personalità, allentando i vincoli interiori della rabbia e della paura, vincoli che conducono a forme di dominio gerarchico». Inesorabilmente. «Il Cherubino di Mozart ci offre un’immagine affascinante del cittadino che non cerca di dominare gli altri attraverso un rapporto di tipo gerarchico… ma tende a uno scambio che è insieme giocoso e impegnato».
    Sarà Comte a «sviluppare le promettenti prospettive del Figaro», avanzando una riforma della politica di genere che ponga lo spirito «femminino» al cuore della società. Anche se Comte poi si dirà contrario all’uguaglianza uomo-donna. Ma saranno proprie le idee di Comte a diffondersi in India e a far presa su Tagore, padre spirituale del Mahatma Gandhi e di Indira Gandhi. «Tagore e Mozart», scrive la Nussbaum, «sono spiriti affini, entrambi convinti che la cittadinanza abbia bisogno di uno spirito ludico e dell’imprevedibilità individuale». Tesi originali, affascinanti che inducono a ripensare i tortuosi percorsi lungo i quali siamo giunti nella modernità. E il debito che, anche per questo tragitto, abbiamo nei confronti di Mozart e Da Ponte.

  2. Marco giugno 11, 2014 a 11:47 am #

    Cara Martha e caro Paolo, suo compunto esegeta, ma che motivo c’è di parlare di cose di cui non avete nessuna idea?
    Marco Ninci

    • lavocedelloggione giugno 11, 2014 a 11:55 am #

      E’ proprio quello che volevo, bravo Marco! Però chiariscici le cose! Attllia

  3. marco vizzardelli giugno 11, 2014 a 12:13 PM #

    Grande Ninci!

    marco vizzardelli

  4. marco vizzardelli giugno 11, 2014 a 12:16 PM #

    Se le seguenti tre “voci” sulla stagione 2014-15 della Scala si riveleranno vere:
    1) Cancellati i Maestri Cantori-Gatti
    2) Arriva una Aida Maazel-Bob Wilson
    3) Arriva Nello Santi

    io cancello automaticamente il mio abbonamento e, in cambio, comincio da adesso la collezione di clacson, fischietti, tricchetracche, frutta e verdura varia….

    marco vizzardelli

  5. matteo giugno 11, 2014 a 4:02 PM #

    Caro Vizzardelli, prepara pure tutto l’armamentario. È peggio di ogni nefasta previsione!!!
    La stagione d’opera si appresta a essere onestamente imbarazzante.
    I tuoi tre timori sono tutti avverati.
    Primo: spariti «Die Meistersinger von Nürnberg», a Gatti viene affidata una misera ripresa del «Falstaff» di Carsen. Meglio di niente, ma il dolore è tanto, anche perché dell’operona wagneriana non se ne parla prima del 2017.
    Secondo: ci sarà una nuova assurda «Aida». Assurda preché col medesimo direttore che già ne diresse una nuova il 7 dicembre 1985 (sveglia, son passati trent’anni!!!). Assurda perché la regia è affidata al quasi ottantenne Stein il quale sta inanellando una regia più piatta dell’altra.
    Terzo: arriverà Santi, e non con una ma con ben due opere! Si tratta, è vero, di due riprese («Tosca» e «L’elisir d’amore»), ma rimane vero che questo enfant-prodige tanto caro a Isotta e alla sua loggia sarà il direttore operistico scaligero più impegnato nella prossima stagione, ben di più del cosiddetto direttore principale. E questo dato da solo basta a squalificare l’intero cartellone.
    Quando poi vedrete il resto – le opere son diciassette in totale, di cui due prime assolute di autori drammaturgicamente discutibilissimi (come se fossimo in un periodo in cui ce le possiamo permettere, tra l’altro!!!) – vi convincerete tutti che non ci deve essere futuro alla Scala per l’accoppiata Pereira/Chailly, garante non di qualità bensì di retroguardia turistico-marchettara. E non basterà mostrare l’elenco (prestigioso) dei direttori presenti nel cartellone sinfonico durante l’Expo per prolungare un mandato che va soffocato nella culla.
    Personalmente, oltre all’intenzione di non rinnovare l’abbonamento, ho già acquisito un appezzamento da tramutare in orto, in modo da avere molta verdura a disposizione per le serate cui comunque vorrò assistere (che poi sono le nuove produzioni e basta).

  6. Gabroele Baccalini giugno 12, 2014 a 11:37 am #

    Quelle della Nussbaum e di Paolo Mieli mi sembrano inutili elucubrazioni, alle quali o si risponde analiticamente o, meglio ancora, si lascia perdere.
    Beaumarchais l’ho studiato al ginnasio (nel 1956) e poi non l’ho più riletto, forse per pigrizia perché nel frattempo mi ero abituato ad ascoltare le opere di Rossini e di Mozart.
    Quel che è che sicuro è il fatto che Le Nozze di Beaumarchais avevano una forte carica di contestazione politica dell’assolutismo ancora esistente in Francia ai tempi dell’Illuminismo, tanto che neppure il frammassone Giuseppe II poté accettarla in toto.
    Il testo non fu pubblicato né a Parigi né a Vienna, dove circolava nei salotti in forma di ‘samizdat’. Mozart e Da Ponte raggiunsero con l’imperatore un onorevole compromesso e così nacque l’opera, che fu rappresentata a corte con un successo non entusiastico, molto minore di quello poi riscosso a Praga, dove ci fu la prima del Don Giovanni. Mozart tornò al teatro di corte nel 1790 con il Così fan tutte, quando sul trono era Leopoldo II. In mezzo a quei tre anni c’era stata la presa della Bastiglia e la regina di Francia, Maria Antonietta, faceva parte della imperialregia famiglia asburgica.
    Quello che la musica Mozart ha aggiunto alla commedia sulla “Folle journée” è un compito che lascio volentieri a musicologi più importanti di me.

  7. Gabroele Baccalini giugno 12, 2014 a 11:40 am #

    Quanto allla stagione scaligera, aspetto il 17 per commentarla. Se è vero quello che hanno scritto Vizza e Matteo, mi dispiace che al posto dell’Elisir non abbiano scelto il Don Pasquale, perché in tal caso al cantare sul muso al Dino (abbreviazione) Santi “Cercherò lontana terra” sarei andato volentieri di persona.

  8. Pietro Tristano giugno 12, 2014 a 1:26 PM #

    Concordo con matteo sull’inutile spreco di due commissioni operistiche nella medesima stagione: con tutto quel che c’è da riscoprire di valido e soprattutto con quel che costano è una scelta che in un momento come questo grida vendetta.
    Per il resto io sono a conoscenza solo delle locandine delle sette nuove produzioni, e confermo che di esaltante c’è davvero poco. Certo le notizie odierne sul temporaneo ritiro di Maazel credo che riaprano la partita di “Aida”, che insieme a “Fidelio” è peraltro l’unica produzione nuova in senso assoluto, perché le altre cinque sono tutte già state viste in altri teatri.
    Convengo poi che la cosa più clamorosamente scandalosa sia l’esiguo impegno operistico del direttore principale (in mancanza di prove). La Scala non è un impegno di ripiego, e la di essa orchestra ha più che mai bisogno di lavorare unitariamente per il recupero di un’identità e di uno stile. Che il direttore principale (in assenza di prove) -.che mi auguro mai e poi mai diventi direttore musicale, ma che venga al più presto rispedito al mittente politico-lobbystico che l’ha imposto – diriga un’opera su diciassette è una barzelletta che non fa ridere. Se uno brama il potere, che almeno sia capace di esercitarlo.

  9. marco vizzardelli giugno 12, 2014 a 2:39 PM #

    Caro Matteo, c’è dell’altro:
    sul suo sito, Lorin Maazel ha annunciato il suo virtuale ritiro per motivi di salute. Lascia i Filarmonici di Monaco e annuncia che limiterà l’ulteriore attività a “qualche apparizione occasionale”.

    marco vizzardelli

    P.s. E, a qualche giorno dalla presentazione, la Scala perde la direzione dell’annunciata Aida su regia di Peter Stein. Il 17 giugno sarà tutto un programma…

  10. marco vizzardelli giugno 13, 2014 a 2:38 am #

    Nel frattempo all’Auditorium di Largo Mahler si è conclusa la stagione principale dell’Orchestra Verdi con un non memorabile “Imperatore” di Beethoven eseguito da Davide Cabassi, ma con, nella seconda parte del concerto, una nuova spettacolosa “lettura”, stavolta di Ciaikovskij, di Jader Bignamini.
    La cronaca che vi faccio, volta per volta, è l’espressione della gioia vera di assistere – concerti e opere in successione – alla crescita di un giovane (non giovanissimo: 38 anni, perché la vita di ognuno è particolare e lui è approdato alla direzione dal ruolo di solista e anche dalla frequentazione di complessi di paese) direttore. Niente è più appagante, per un ascoltatore appassionato, del seguito di un cammino artistico di alto livello quale quello che sta percorrendo – con l’Orchestra Verdi e non solo, in diversi teatri – Jader Bignamini. L’attualità, l’attuale punto d’arrivo della straordinaria tradizione direttoriale italiana.
    Ciaikovsky è, dalla fondazione e per merito di Vladimir Delman, nel DNA dell’Orchestra Verdi, forse più che qualunque altro autore. La Verdi è testimone storica, e attuale, di una concezione di “suonar Ciaikovsky” lasciatale in eredità dal favoloso Delman, che vedeva nel compositore prediletto “il Mozart russo”. Di qui, accanto alle accensioni tragiche o liriche (e cosa non erano, le accensioni e il senso tragico di Delman in Ciaikovsky!!) non mancava mai l’elegante levità di suono e un rubato vertiginoso. Due doti in base alle quali, oggi, Jader Bignamini ha reso entusiasmante e memorabile la sua lettura della Quinta sinfonia di Ciaikovsky.
    Rubato, ovvero, capacità di muovere la frase fino alla vertigine. E bellezza di suono (la luminostà ormai nota dell’orchestra “di” Bignamini). Tutto questo è stato rivestito dal direttore cremonese di un virtuosismo pazzesco (l’orchestra bloccata in un nanosecondo, e i cambi di ritmo eseguiti vertiginosamente senza mai perdere l’aplomb, culmine di questo tutto il finale) ma mai e poi mai fine a se stesso e sempre e sempre volto a fini espressivi. La tragedia e la gioia si sono unite (in entrambe le introduzioni a primo – fantastici i primi tre minuti della sinfonia – e secondo movimento) ad una vena più raccolta e meditativa. Nessun aspetto è stato tralasciato, dalla prima all’ultima nota: significativa la scelta di Bignamini di non concludere con gli accordi “sparati”, da virtuoso, ma – come Temirkanov, come Celibidache, grandissimi “lettori” della sinfonia in mi minore – con la chiusa cadenzata, rallentata e ritmata che dà il senso della “finta festa” (dietro, c’è l’abisso) del finale della sinfonia. Il “cotè” virtuoso ha trovato meraviglie nei ricami della parte centrale del valzer, quello lirico nell’effusività calda – ma sempre “raccolta” nel fraseggio, mai sbracata – del celebre e bellissimo secondo movimento. Il tutto condotto ad un’unità stilistica da un direttore che non smette di crescere e stupire. dice Jader Bignamini, annunciando un’estate – appunto – di studi – preludio all’intensissimo 2014-15 suo e dell’Orchestra Verdi. La quale, ed è giusto chiudere con lei, è stato strumento di dedizione assoluta (tutta quanta, solisti e sezioni, e va sicuramente citato, in quest’occasione il suono “tutt’uno” degli archi, chiari e scuri) nella stupenda lettura di questa Quinta. Direttore ed orchestra in crescita ininterrotta.
    Ovazioni alla prima, si replica stasera e domenica

    marco vizzardelli

  11. luzy giugno 13, 2014 a 6:19 PM #

    «Tesi originali, affascinanti che inducono a ripensare i tortuosi percorsi lungo i quali siamo giunti nella modernità. E il debito che, anche per questo tragitto, abbiamo nei confronti di Mozart e Da Ponte.»

    ——————

    Qualcuno recapiti a Mieli il “Mozart Massone e Rivoluzionario” di Lidia Bramani.

  12. Federico giugno 14, 2014 a 1:45 PM #

    Ma questo non è il post per il concerto di Luisi? nessuno c’era? che c’entra la Verdi e Mieli?
    Luca

  13. Marco giugno 14, 2014 a 2:29 PM #

    Federico, tutto si tiene. E non lo dico io, ma nientemeno che Ferdinand de Saussure, il più grande linguista del secolo scorso. Quindi…io sono sempre stato contrario all'”in tema” o al “fuori tema” (o “off topic”, dicono gli imbecilli), un argomento, come le ciliegie, tira l’altro e va bene così. Basta che si dicano cose interessanti.
    Marco Ninci

  14. marco vizzardelli giugno 15, 2014 a 2:13 am #

    E tre! Un morto, un ritirato… e adesso risulta che anche Nello Santi abbia declinato tutti i suoi impegni per motivi di salute.
    L’effetto Pereira si fa devastante…. Cosa presenterà, il 17 giugno?

    marco vizzardelli

    • lavocedelloggione giugno 15, 2014 a 7:26 am #

      E bravo Vizza! È l ‘effetto della vittoria dell ‘Italia della notte scorsa che ti tiene sveglio fino all’alba ??? Chi se ne frega di Santi adesso, qualche santo provvederà! Baci baci w i mondiali di calcio, paradigma massimo di ogni tifo possibile, da quello degli stadi a quello dei teatri! Attilia

  15. gina la melomane giugno 16, 2014 a 4:53 PM #

    Ecco dunque (al netto di un tradizionale ed esecrabile dittico da un lato, e da un’operotta in forma di concerto dall’altro) tutti i titoli della sovrintendenza Pereira per come è attualmente contrattualizzata (01.09.2014–30.11.2015).
    Per correttezza non comunico i cast.
    Domani dopo mezzogiorno potremo commentare il tutto.
    Ma una cosa è già certa: l’affermazione del direttore principale designato (ahinoi!) trattarsi di una delle «migliori stagioni degli utlimi cinquant’anni» (testuale) dà tutto il senso della mancanza di ridicolo dei nuovi responsabili.
    Spero che dal dicembre 2015 questi marchettari vengano rispediti ai loro mittenti politico-affaristici. Credono di prenderci per i fondelli???

    Giuseppe Verdi
    SIMON BOCCANEGRA
    31 ottobre 2, 6, 9, 11, 13, 16, 19 novembre

    Ludwig van Beethoven
    FIDELIO
    7, 10, 13, 16, 20, 23 dicembre

    Bernd Alois Zimmermann
    DIE SOLDATEN
    17, 20, 25, 27, 31 gennaio 3 febbraio

    Claudio Monteverdi
    L’INCORONAZIONE DI POPPEA
    1, 4, 7, 10, 13, 17, 20, 27 febbraio

    Giuseppe Verdi
    AIDA
    15, 18, 21, 25 febbraio 1, 11, 14 marzo

    Wolfgang Amadeus Mozart
    LUCIO SILLA
    26, 28 febbraio 3, 12, 15, 17 marzo

    Georges Bizet
    CARMEN
    22, 24, 28 marzo 4, 6, 9, 13, 16 giugno

    Giacomo Puccini
    TURANDOT
    1, 5, 8, 12, 15, 17, 20, 23 maggio

    Giorgio Battistelli
    CO2
    16, 19, 22, 24, 27, 29 maggio

    Gaetano Donizetti
    LUCIA DI LAMMERMOOR
    28, 31 maggio 3, 5, 8, 11 giugno

    Giacomo Puccini
    TOSCA
    22, 24, 27, 30 giugno 3, 6 luglio

    Gioachino Rossini
    OTELLO
    4, 7, 10, 14, 17, 20, 24 luglio

    Gioachino Rossini
    IL BARBIERE DI SIVIGLIA
    27, 29, 31 luglio 2, 4, 6, 8, 10 agosto

    Giacomo Puccini
    LA BOHÈME
    19, 22, 25, 26, 28, 29, 31 agosto 2 settembre

    Gaetano Donizetti
    L’ELISIR D’AMORE
    18, 21, 25, 28 settembre 6, 10, 13, 17 ottobre

    Giuseppe Verdi
    FALSTAFF
    14, 16, 19, 21, 24, 26 ottobre 4 novembre

    György Kurtág
    FIN DE PARTIE
    29, 31 ottobre 3, 6, 8, 13 novembre

    • Ulisse giugno 16, 2014 a 10:32 PM #

      Sei Alda alias Violamargherita? Quale sarebbero dittico e operotta?
      Grazie dell’anticipazione.

      U

  16. trovòlapoesia giugno 17, 2014 a 12:39 am #

    leggo piu’ sopra che si parla di “nuova” Aida di Peter Stein: sara’ mica quella brutta vista a Mosca due mesi fa?
    http://stanmus.com/performance/92#photos

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: